Kvaratskhelia, numeri e invenzioni che ricordano Maradona e il suo Napoli

Diego e Khvicha improvvisamente vicini per talento e invenzioni. La città è ormai pronta a sognare 33 anni dopo nel segno del genio
Antonio Giordano
4 min

NAPOLI - In quell’istante, proprio mentre Khvicha Kvaratskhelia ha sterzato, la prima e poi la seconda e poi la terza volta, nel momento in cui Scalvini finiva (quasi) a faccia in giù e Toloi, sull’orlo della labirintite, deambulava pericolosamente, in quello stadio che sa di lui, in una città ch’è la sua, Diego Maradona è ricomparso, in certe movenze, nella spudorata sfacciataggine, nella leggerezza d’un gesto naturale, nella sublimazione del talento: e sarebbe irragionevole sistemare l’uno al fianco all’altro, cercare modelli di comparazione, ma se il calcio diventa magìa, le sensazioni dell’anima vanno interpretate come è capitato a Spalletti: «Ha fatto un gol degno di Maradona, questa volta si può dire. Perché questa qualità che ha nello stretto e l’imprevedibilità che ci mette, nella rapidità di esecuzione, quando ti guarda in faccia e ti viene a puntare è veramente devastante. Questa volta si può scomodare anche il più forte di tutti i tempi». Da «ho visto Maradona» a «ho visto Kvaratskhelia» è un trentennio, anche di più, e non c’è tentazione di affiancare il Dio del calcio a quello che in otto mesi è diventato il suo potenziale erede, qualcosa che s’avvicina o che lo ricorda, il calco diverso di un genio che ha dentro di sé l’eleganza assai sciantosa d’un ballerino o di un modello che sfila; oppure più semplicemente di un uomo che va in giro con l’outfit d’un 77 e che però, pensandoci bene, fa cose che soltanto i numeri 10. 

Next generation

Si può andare a rovistare tra i frammenti di quest’anno, rimettersi dinnanzi agli highlights e restare ancora incantati nella dolcezza di quella corsa ora secca e poi sferzante, ora lieve e poi travolgente, ed accorgersi che ci sono espressioni del corpo - e di quel cervello - che elevano Kvara tra gli eletti, come se fosse unto dal Signore, come se scendesse - pure lui - da un altro pianeta, costringendoci a chiederci quale. Il Kvara che demolisce l’Atalanta è in un’istantanea, un fermoimmagine che ha spinto Marco Van Basten (a proposito di fuoriclasse) a farsela una domanda e rimanere perso tra i suoi pensieri spettinati che riportano al tempo che fu, magari anche al suo: «Se guardi in questo modo: vedi solo otto persone intorno a una. Poi , pensi tra te: non può essere che fa gol».
I fenomeni vanno oltre le leggi della fisica e della natura, le aggirano a suon di dribbling, veroniche che strapazzano i luoghi comuni e pure i sensi di appartenenza, perché quelli come Kvara fanno bene al calcio, sono patrimoni universali che un po’ ricordano Diego. Nei suoi tredici gol, nei suoi quindici assist, in questa galleria di arte moderna, c’è il football universale che va dal no look di Verona per mandare Zielinski in porta, alla diavoleria con il Liverpool per regalare a Simeone il tap in, all’accelerazione di Cremona per offrire a Lozano la felicità o nella scucchiaiata contro la Juventus per atterrare da Osimhen: c’è, spesso, il senso d’altruismo in questo filantropo che annusa l’aria, sente la porta, la vede e però, senza farsi (sempre) travolgere dall’istinto, provvede ad apparecchiare la festa per gli altri.

Genio, genio

Kvara non è la raffigurazione di statistiche, che pure potrebbero bastare - tra i Millennials, questi giovanotti nati nel Terzo Millennio, se ne va a passeggio con Balogun, David, Haaland, Martinelli e Musiala - ma diviene altro, una dimensione inedita d’un giocatore, la rappresentazione anche scenica, un tempo che non svanisce mai, l’allegria contagiosa che diffonde, lo stupore che ghermisce il torace, la mano di Kvara che s’allunga fino a quella di Diego. Scusi, Padre, posso?


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