Roma, esclusivo Abreu: "Vi spiego chi è Fonseca"

Intervista al manager del nuovo tecnico giallorosso: questo il ritratto che ci ha fatto di lui
Roma, esclusivo Abreu: "Vi spiego chi è Fonseca"
Guido D'Ubaldo
9 min

ROMA - Per scoprire Paulo Fonseca alla vigilia del derby abbiamo incontrato Marco Abreu, il procuratore che ha avuto un ruolo determinante nella carriera del tecnico portoghese. E’ stato Abreu ad offrirgli la prima panchina da professionista ed è stato lui, una volta diventato suo agente, a gestire il trasferimento alla Roma. Dirigente, procuratore, ma soprattutto amico dell’allenatore che ha accettato la sfida di venire in Italia per provare a vincere. Abreu è spesso a Roma per curare gli interessi del nuovo allenatore giallorosso. Ci tiene a raccontare la sua storia: «Conosco Paulo dal 2011. Lo contattai per venire ad allenare il Deportivo des Aves, all’epoca lui era il tecnico di una squadra di dilettanti, il Pinhalnovense. Gli offrii la prima opportunità da professionista. Ero il direttore sportivo e presidente aggiunto ed eravamo andati a cena io e il presidente con un altro allenatore che non ci era piaciuto. Avevo visto la squadra di dilettanti di Fonseca giocare in Coppa e avevo ascoltato la conferenza stampa. Dissi al presidente: “è un tecnico interessante”. Contattai il suo preparatore dei portieri che conoscevo e chiesi maggiori informazioni. Quando tornammo dalla cena chiesi al collaboratore di Fonseca il suo numero e lo chiamai verso mezzanotte e mezza. Fissammo l’appuntamento a pranzo con il presidente per il giorno dopo. Paulo si fece tre ore di treno per venire a incontrarci. Arrivò al ristorante con uno zaino in spalla. Durante il pranzo tirò fuori un dossier di cento pagine sulla nostra squadra. Aveva studiato la notte senza dormire per venire preparato all’incontro. Sapeva tutto dei nostri giocatori».

Cosa la colpì di Fonseca?

«L’onestà, fu molto diretto. Ci disse subito quali erano i giocatori che andavano bene e quelli che voleva cambiare. Paulo vuole lavorare nelle condizioni ideali, sapeva che c’erano i presupposti per fare bene. Un uomo semplice e umile, ma allo stesso tempo con capacità e carisma. Alla fine del pranzo non volle parlare di soldi, gli dissi: “ti faremo sapere”, ma avevamo già deciso. Quella è stata una delle migliori stagioni del nostro club, finita con il secondo posto in classifica e la promozione sfiorata con 19 partite senza perdere. All’epoca Fonseca giocava con il 4-3-3. L’anno successivo passò al Pacos de Ferreira, io rimasi dirigente al Deportivo, ma restammo amici, andavamo a cena insieme due o tre volte a settimana per parlare di calcio. Poi Paulo è andato al Porto ed è tornato al Pacos de Ferreira, quindi al Braga, dove ha vinto la Coppa del Portogallo che il Braga non conquistava da 50 anni. Aveva Artur, portiere che è stato anche alla Roma».

Dopo il Braga il trasferimento in Ucraina.

«Paulo ha sempre cercato le sfide, l’idea dell’estero lo ha sempre affascinato. E’ arrivata l’offerta dello Shakhtar e Fonseca l’ha accettata, dopo avermi chiesto consiglio, quando io ero ancora dirigente in Portogallo. Lo Shakhtar non vinceva da due anni. Gli era piaciuta l’offerta e la possibilità di giocare in Champions. Le cose sono andate molto bene, in tre anni ha vinto sette titoli. Anche se non era più lo Shakhtar di Lucescu».

Perché?

«Era scoppiata la guerra, la squadra si allenava a Kiev e giocava a Karkhiv. Kiev è molto bella, ma sempre fredda, il club è molto ricco e aveva tutte le condizioni per lavorare bene. Ma non è stato facile per Paulo all’inizio. Con la guerra sono finiti gli investimenti degli anni precedenti, sono arrivati meno giocatori importanti. C’è stato un ridimensionamento, si giocava in uno stadio dove non c’erano tifosi. La squadra era costretta a fare 120 viaggi aerei a stagione, ogni due giorni si prendeva un aereo, si tornava all’alba, Fonseca preparava le partite in volo».

Quando è arrivata la chiamata della Roma?

«Credo alla fine di maggio, o al massimo i primi di giugno. I campionati erano finiti. C’erano altri club che lo cercavano e aveva un altro anno di contratto. Avevo incontrato altri club che giocano la Champions League. Vedevo dirigenti e lo informavo. Quando lo ha cercato la Roma, Paulo ha voluto gestire personalmente la trattativa e ha voluto partecipare all’incontro che si è svolto a Madrid. Eravamo io, lui, Fienga e Petrachi. Ci trovammo a pranzo e mi accorsi che ci fu subito empatia tra Paulo e Petrachi. Si trovarono subito d’accordo sulla necessità di programmare un lavoro duro, nell’imporre subito rigore e regole».

Fonseca ha rinunciato a dei soldi per allenare la Roma.

«Il giorno dopo si è messo subito a studiare la Roma. Gli è piaciuto il progetto, ha voluto fortemente la Roma per la storia e la grandezza della società. Non per i soldi: aveva condizioni molto più vantaggiose allo Shakhtar, dove guadagnava quasi il doppio, e non ha preso in considerazione altre offerte più vantaggiose di club spagnoli, inglesi e francesi. Il fatto che la Roma non conquista un trofeo da tanto tempo è uno stimolo in più. Ha detto che non se ne andrà fino a quando non vincerà qualcosa».

In un secondo momento Fonseca ha incontrato Pallotta.

«Prima a Londra, poi in Toscana, quando era già allenatore della Roma. Paulo parla molto bene l’inglese oltre ad altre quattro lingue. Ha avuto subito una buona impressione del presidente. Vedrete che tra un mese parlerà bene anche l’italiano. Già lo capisce perfettamente e non ha più bisogno dell’interprete in allenamento. Solo in Ucraina ha incontrato difficoltà con la lingua».

Appena arrivato a Roma cosa lo ha colpito?

«La città, che già conosceva per essere venuto da turista quando allenava lo Shakhtar e il calore dei tifosi».

E’ vero che Paulo ha chiamato personalmente i giocatori acquistati dalla Roma?

«Sì. Credo che abbia parlato anche con Smalling, è soddisfatto del suo arrivo. Paulo ha sempre agito in sintonia con Petrachi ed è sceso in campo per dare il suo contributo in sede di campagna acquisti. Anche per far rinnovare Dzeko e Zaniolo, tutti i giocatori considera importanti come Ünder, che ha tanta qualità. A questi calciatori ha fatto capire che era importante restare insieme per provare a vincere qualcosa. Ha stabilito un buon rapporto con loro e anche contro il Genoa hanno lottato fino alla fine».

Il derby: come lo vive Fonseca?

«E’ tranquillo. Da una settimana, quando va a cena fuori, i tifosi gli dicono: “mi raccomando domenica”. Sa che è una partita speciale. In Italia c’è la passione per il calcio come in Portogallo».

Un giorno vorrebbe allenare la nazionale portoghese?

«Paulo è più un allenatore di campo che un selezionatore. La Nazionale non è una priorità».

In panchina è molto tranquillo.

«Fa parte del suo carattere. Si confronta spesso con Nuno, lavora con lui da quando allena, sono complementari. Nuno riceve le indicazioni da Tiago, che vede la partita dalla tribuna, dove la tattica si studia meglio».

Chi farà giocare domani?

«Devi chiedere a lui... Da quello che ho visto domenica scorsa nella sfida contro il Genoa, la manovra offensiva ha funzionato, sta lavorando per migliorare le cose che hanno funzionato meno. Per cambiare ci vuole pazienza, Fonseca vuole rigore e disciplina. I giocatori hanno dato grande disponibilità per lavorare duramente, questo è importante»


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