Zaniolo: Mourinho e Mancini devono crederci

Zaniolo: Mourinho e Mancini devono crederci© AS Roma via Getty Images
Alessandro Barbano
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Nella vita di un talento arriva sempre il giorno in cui diventa drammaticamente desueto l’aggettivo promettente. O sei capace di metterlo alle spalle, oppure sarà la camicia di forza di una tua irredimibile incompiutezza. Per Nicolò Zaniolo quel giorno è adesso. Non c’è più nulla da promettere, perché in un tempo rapidissimo tutta la potenzialità dove tradursi in atto. La Roma, la Nazionale, il palcoscenico del calcio mondiale chiamano, insieme, per una sola volta. E si tratta di rispondere. Questo è il segno del 2022 per il campioncino di La Spezia, cui gli infortuni e una certa immaturità hanno allungato l’adolescenza calcistica di un paio di stagioni. Ma adesso che Zaniolo di anni ne ha ventidue, la proroga è giunta al termine. O sfonda o scivola nell’irrilevanza.
     Ci sono tutte le premesse perché si realizzi la prima ipotesi. C’è anzitutto una guarigione compiuta, che restituisce allo sport una fisicità superdotata, tanto da apparire a tratti eccessiva, una tecnica raffinata ma ancora in grado di migliorarsi, una personalità forte. Tanto da convincere Mourinho che una mezzala d’attacco come lui può giocare da seconda punta, ma non da esterno. Adesso che ha ottenuto ciò che voleva, Nicolò è atteso alla prova. I primi segnali sono stati positivi. Faccia alla porta, ha detto di lui Mancini, è devastante. Questa è l’impressione che fa a tratti, quando dà l’idea di essere il calciatore che manca all’Italia dai tempi di Totti. E tuttavia il paragone fa storcere il naso a molti tifosi orfani, calcisticamente parlando, del Pupone, il quale - fanno notare - a vent’anni aveva già mostrato di essere un fuoriclasse e un leader destinato a comandare in campo e fuori per una generazione. Nicolò accusa un certo ritardo, non ha nei piedi il magistero di Francesco, né la sua fionda precisa e potente. È un’altra cosa. Ma forse non meno bella. Forse capace di regalare al calcio giallorosso e italiano un’egemonia inedita. Quella che nasce dalla sintesi tra la possenza e l’eleganza, un’alchimia di corpo e di anima estranea alla tradizione del calcio italiano, almeno negli ultimi quarant’anni. Né Totti né Del Piero, né Baggio né Rossi, e neanche, a voler scendere dalla scala, Vialli o Mancini, Vieri o Inzaghi, nessuno di questi campioni, che pure hanno fatto la storia e regalato emozioni incancellabili, incarnava la fisicità e l’armonia che in nuce, come il bagliore di un possibile futuro, mostra Zaniolo. Bisogna tornare al mitico Gigi Riva per trovare, in un ruolo del tutto diverso, la stessa potenza declinata con la stessa eleganza.
     Il fatto è che, per il talento giallorosso, questi paragoni sono ad oggi poco più che un’aspettativa. Un segno che può rivelarsi una premonizione o piuttosto un’illusione tradita. Tutto è da scrivere. A partire da oggi, in un percorso che passa tra il campionato e gli spareggi, e può portarci al Mondiale. Zaniolo ha undici partite per convincere Mancini che, contro Macedonia e, forse, Portogallo, lui può essere l’arma che sorprende di una Nazionale chiamata a cambiare per restare in gioco. Ma Mancini e la Nazionale, Mourinho e la Roma, hanno lo stesso tempo e le stesse partite per scommettere su di lui. Il coraggio non è solo una virtù individuale, ma un contagio collettivo. L’unico contagio di cui abbiamo veramente bisogno per guarire e vincere.

 


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