Bruno Conti esclusivo: "Roma, futuro radioso con Mourinho"

Nei giorni in cui festeggia i quarant’anni dal Mundial il campione azzurro e giallorosso racconta emozioni indimenticabili vissute insieme a Bearzot e rilancia le ambizioni del club dei Friedkin
Bruno Conti esclusivo: "Roma, futuro radioso con Mourinho"© ANSA
Guido D’Ubaldo
13 min

ROMA - Dorme poco la notte, come quando era calciatore. Anche senza l’ansia per la partita che si avvicina. Bruno Conti è così, a 67 anni non ha cambiato abitudini. Ha da poco firmato il rinnovo del contratto, praticamente si è legato alla Roma per sempre. Aveva 19 anni quando esordì con la maglia giallorossa in serie A. In una foto nel giorno del debutto, accanto al povero Pierino Prati, sembrava un bambino. Da quel 10 febbraio 1974 quella maglia ce l’ha sempre addosso.

La famiglia, la Roma, Nettuno. In un triangolo di sentimenti tutta la sua vita: «C’è un rapporto di cuore con la Roma. Ho fatto il calciatore, il dirigente, l’allenatore, il direttore tecnico, ho vissuto anche momenti particolari, ma quando sei innamorato non ti tiri indietro di fronte a nulla. E così sono arrivato qui». 
 

Quella breve esperienza da allenatore, nel 2005, se la ricorda bene. 
«Bisognava metterci la faccia, per cercare di dare una sferzata alla squadra che dopo tre allenatori dimessi rischiava di retrocedere. Ricordo dopo una sconfitta a Parma, lo stress negli spogliatoi. Io non ho mai perso i capelli in vita mia, in quel periodo li persi. Sono pieno di tic da quando sono ragazzino, si moltiplicarono. Le sigarette non le contavo più. La vittoria di Bergamo fu una liberazione. Ci misi tutto me stesso, in un momento particolare. Il presidente Franco Sensi cominciava a star male, Rosella mi chiese di dare una mano. Puntai sul rapporto con i calciatori. Facevo parte del gruppo. Lo feci per il bene della Roma. Poi abbiamo preso Spalletti, che ci diede una bambola ma in coppa Italia passammo noi. Lo scegliemmo io e Pradè. Luciano è una grande persona, nel suo primo ciclo ci siamo divertiti. Sfiorammo lo scudetto, abbiamo vinto qualche coppa». 
 
Ha mantenuto buoni rapporti con Spalletti? 
«Sì, nel mondo del calcio è importante dirsi le cose in faccia, sempre con professionalità e rispetto». 
 
Il 25 maggio era a Tirana da tifoso: una grande emozione. 
«Vincere la coppa è stato importante, il giusto premio a questa proprietà che sta facendo un grandissimo lavoro. È stato fantastico vedere tanta gente che ha gioito per questa vittoria. La società ha invitato ex calciatori, magazzinieri, gli addetti ai cancelli. Un gesto esemplare, vedere da vicino la felicità di tante persone che da anni lavorano nell'ombra per la Roma è stato commovente. Non potrò mai dimenticare quella serata. La commozione di Aldair, Rizzitelli, Antonello Venditti. E poi la felicità di un ragazzino, che ci segue dai tempi di Spalletti. Lo chiamiamo il “principino”, è costretto sulla sedia a rotelle. I giocatori gli hanno portato la coppa sotto la sua tribuna. Un gesto da brividi». 
 
La coppa l’ha alzata al cielo Lorenzo Pellegrini, uno dei tanti ragazzi che ha scoperto lei. 
«Lorenzo è cresciuto tanto. Questa società crede tanto nel settore giovanile, vuole portare avanti la nostra realtà. Lo ricordo piccolino, ha avuto una maturazione incredibile. A volte diamo giudizi affrettati, ma su di lui non mi sbaglio: sta diventando un grandissimo capitano, è un ragazzo d’oro, tecnicamente e tatticamente è migliorato, ha trovato continuità. Ha una grandissima famiglia alle spalle. Lui, De Rossi, Florenzi, Aquilani. Per sfondare ci vuole bravura ma anche la testa e lui ce l’ha. Il padre è stato il suo primo allenatore, gli ha insegnato tante cose». 
 

 
Lei ha due nipoti che promettono bene. 
«Brunetto è pronto per fare un’esperienza lontano da Cagliari. Poi c’è Manuel, un 2006 che gioca nell’Under 17. Non che portare questo cognome non pesi. Io sono orgoglioso di essere padre di due figli splendidi, con mia moglie li abbiamo educati nel modo giusto. Daniele è arrivato fino in Nazionale, ha avuto alcune stagioni stupende nel Cagliari, ha battuto tutti i record di Gigi Riva e Greatti, sono contento di quello che ha fatto da calciatore. Spalletti lo voleva alla Roma. È stato Daniele a dirmi: «Papà, finchè ci sei tu alla Roma io non posso tornare. Oggi è responsabile del settore giovanile a Cagliari, ha fatto un grande lavoro». 
 
Per portare qualche giovane nel settore giovanile si è inventato posti di lavoro per i genitori. 
«È successo con Okaka, con il padre e la madre che ci davano una mano al pensionato. Ma prima avevamo un problema al convitto e non potevamo tenere i ragazzi da fuori regione. Quando presi D’Agostino e Lanzaro me li sono portati a casa mia, mia moglie gli faceva da mangiare e gli lavava i panni. Mio suocero li accompagnava agli allenamenti».  
 
Sono passati 40 anni da quel fantastico vinto in Spagna. Chi le manca di più? 
«Mi manca Gaetano (Scirea), Diego (Maradona), Paolo (Rossi), Bearzot, Maldini. Avevamo un rapporto incredibile, dal commissario tecnico ai magazzinieri. Quello che forse manca oggi. Avevamo creato un gruppo incredibile. Ancora oggi abbiamo una chat, dove ci scambiamo battute, auguri di compleanno, qualche foto. Non ci siamo mai persi di vista. Martedì (domani) vado al Coni per una mostra su Paolo Rossi, il 10 sarò a Sonnino per una manifestazione di Spillo Altobelli. Eravamo tutti molto uniti, anche chi non giocava. Come Franco Selvaggi. Non è mai sceso in campo, ma è uno che ha fatto gruppo più degli altri». 
 
In Spagna vi compattaste con il primo silenzio stampa che si ricordi nel calcio. 
«Quella è stata una reazione a una situazione difficile che si era creata. Bearzot portò Rossi e lasciò a casa Pruzzo, che era capocannoniere. Voi sapete quanto sono amico di Roberto, ma dovevamo proteggere il mister dalla gogna mediatica». 
 
Domani saranno 40 anni dalla vittoria sul Brasile con la tripletta di Pablito. Il giorno dopo Bearzot vi diede un giorno libero. 
Quel successo ci liberò delle tensioni che avevamo accumulato. Eravano in piscina a rilassarci, quando si avvicinò il mister, con il borsello con le pipe dentro. Io e Graziani lo buttammo in acqua per scherzare, non potevamo pensare che non sapesse nuotare. Così ci tuffammo tutti in piscina con lui. Era il nostro timoniere, il nostro papà».  
 
Graziani era un suo amico. 
«Ancora ci sentiamo. Lui di Subiaco, io di Nettuno, quando venne a giocare nella Roma ci capimmo al volo. Eravamo sempre pronti a scherzare. Quando sbagliammo il rigore io e lui nella finale di Coppa dei Campioni, ci facemmo coraggio a vicenda. Era un grande giocatore, fuori dal campo uno spasso. Se c’era da scherzare non si tirava mai indietro. Una volta si dialogava di più e di tutto. Di famiglia, di investimenti. Oggi vedo tanti giocatori sui social, quando sono in ritiro hanno le cuffie per ascoltare la musica. Noi cantavamo tutti insieme, avevamo la battuta sempre pronta. Oggi è tutto più ovattato. Noi siamo stati bene così».

  Non ha mai dormito prima delle partite normali, figuriamoci quando era al Mondiale. 
«Quando eravamo ad Alassio per la preparazione era successo che Baerzot mi mise in camera con Giovanni Galli. Lui alle dieci e mezza si addormentava. Una sera mi alzai per andare al bagno, mi accesi una sigaretta al buio e diedi una “stincata” al comodino. Io giorno dopo sono andato da Bearzot e gli ho detto che così non riuscivo a dormire. Allora io e Tardelli in ritiro avevamo camere singole. Non dormivamo mai e andavamo a rompere le scatole agli altri». 
 
Il gruppo si era compattato molto in Spagna, durante il girone eliminatorio ma quel silenzio stampa al Mondiale per lei è stato strano. 
«Io ho sempre avuto ottimi rapporti con i giornalisti. Molti di noi non erano d’accordo. Quel Mondiale ci sarebbe piaciuto raccontarlo. Ma ricordo che una volta eravamo in albergo in ritiro e sentimmo Bearzot urlare con un giornalista che oggi non c’è più. Alla fine si è deciso di fare questo silenzio stampa per il nostro timoniere. Parlava solo Zoff, per il quale una parola è poca e due sono troppe. Abbiamo accettato, ma sarebbe stato bello raccontare quel mondiale». 
 
Dopo la vittoria sul Brasile come andò con Falcao? 
«Qualcuno cerca di creare un dualismo, di mettere zizzania tra di noi. Con Paulo ci sentiamo ancora, si parla di tutto. Prima di partire per il Mondiale Tedeschi ci fece una foto con Viola e Liedholm. Il presidente ci guardò negli occhi e ci disse: “Da uno di voi due voglio il titolo mondiale”. Falcao fece un Mondiale straordinario. A fine partita ci siamo scambiati la maglia senza dirci una parola. Quando finì tutto prima della doccia sono andato nello spogliatoio del Brasile ho trovato i dirigenti e i magazzineri che piangevano seduti sulle panchine. Paolo mi si avvicinò e fu un gran signore: “Ci avete battuto, ora vincete il Mondiale”». 
 
In finale regalò un assist d’oro ad Altobelli dopo essersi fatto mezzo campo da solo. 
«Non potrò mai dimenticare. L’infortunio mise fuori gioco Graziani, che provò fino all’ultimo a recuperare. Ma anche Spillo è stato bravo a fare la finta su Schumacher. Anche dopo aver battuto Argentina e Brasile si parlava di Italia catenacciara, incontrammo qualche difficoltà al primo turno. La Polonia era una squadra spigolosa, aveva grandi giocatori come Boniek, Zmuda, Lato». 
 
Infine il ricordo indelebile della finalissima. 
«Mai e poi mai potrò dimenticare il saluto di Pertini quando venne a trovarci in albergo. Quelli erano gli anni di piombo, abbiamo tenuto l’Italia unita in un momento molto delicato e ci siamo sentiti orgogliosi di essere italiani».  
 
La partita a carte sull’aereo di ritorno. 
«Causio e Zoff si misero al tavolo con Pertini e Bearzot e noi eravamo lì intorno. A un certo punto Pertini si arrabbiò per una carta sbagliata, nacque una discussione tra tante risate. Il presidente volle portarci con il suo aereo. Una persona umile, la persona giusta in quel periodo». 
 
Lei ha vissuto due emozioni fortissime: campione del mondo nel 1982, campione d’Italia nel 1983. 
«Ho avuto la fortuna di crescere nella mia squadra del cuore. Anche mio padre era romanista. Si è spaccato la schiena per mandare avanti con mia madre la famiglia con sette figli. Grazie alla Roma e a Liedholm che mi ha cresciuto ho potuto vivere questa grande gioia».


Herrera diceva che era troppo basso.  
«Non solo lui. quando ero nell’Anzio feci provini al Bologna e alla Samb, ma dicevano tutti la stessa cosa. In estate giocavo a baseball e d’inverno a calcio. Mio padre usciva di casa alle 4 di mattina e tornava alle 7 di sera, io continuavo a divertirmi, più avanti mi dedicai solo al calcio, il mio sogno nel cassetto. Lo sport deve far divertire, oggi c’è una esasperazione incredibile. Ai ragazzi dico: “la scuola viene prima di tutto”».  
 
Mourinho segue molto il settore giovanile. Va a vedere personalmente le partite. 
«Lo vedi a Trigoria dalla mattina alla sera, segue gli allenamenti anche degli Under 16. È una persona importante per questi ragazzi, per loro è toccare il cielo con un dito quando segue le loro partite. È una allenatore che ha portato la cultura del lavoro. Mourinho è un grande, ho bel rapporto con lui, di stima e rispetto. Anche quando va via da Trigoria si ferma sempre con i bambini al cancello». 
 
Conti, cosa le piace e cosa non le piace del settore giovanile?  
«Ho dato tutto me stesso. Dopo aver fatto il corso di Coverciano volevo fare l’allenatore, ma mi chiesero di risollevare il settore giovanile. Un lavoro che mi ha appassionato e mi piace tuttora. Quello che non mi piace è quando si fanno le selezioni e bisogna comunicare ai ragazzi e alle loro famiglie che non sono stati confermati. Io mi affeziono e in certi momenti mi si stringe il cuore. Ma non bisogna illuderli e alcuni possono sfondare in altre realtà». 
 
Cosa prevede per la Roma? 
«Un futuro radioso. C’è una grande società, presente, che ci consente di lavorare in un certo modo. Anche con l’avvento di Vincenzo Vergine c’è la volontà di fare grandi cose. Possiamo fare un ottimo lavoro, ognuno nel suo ruolo».


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