Roma, niente alibi: la stagione non aspetta

Roma, niente alibi: la stagione non aspetta© AS Roma via Getty Images
Marco Evangelisti
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Non hanno nemmeno fatto finta. Lenti, sonnacchiosi, imbronciati. Annoiati di quello che stanno facendo, cioè del lavoro che si sono scelti, un lavoro che peraltro molti considerano il più gratificante del mondo: quello del calciatore. Come se ritenessero comunque impossibile non vincere in Bulgaria contro il Ludogorets. In effetti dovrebbe esserlo per la Roma costruita in estate con riga e compasso e razionalità apparentemente non presente in campagne acquisti precedenti. Tanto elegante nella sua realizzazione da convincere molti critici a prenotarle un posto nella prossima Champions League. Questa Roma è la stessa di allora, quella a quattro stelle, quella con la panchina lunga, quella del maestro del calcio pratico in panchina, quella del massimo risultato con il minimo sforzo.

Manca Zaniolo, ovviamente, è venuto a mancare Abraham e anche un sostituto di stoffa soda come El Shaarawy. Ma è a questo che doveva servire l’arricchimento della rosa, a resistere nei periodi di siccità. Non solo non sono riusciti a vincere, hanno perso. E male. Forse peggio che a Udine. Perché non hanno neppure finto di aver capito. Non hanno tentato di modellare la partita, hanno fatto il morto a galla lasciandosi trasportare dalle sue onde disordinate, dai suoi ritmi flaccidi e sincopati. Con Belotti agile quanto una chiatta, Matic e Cristante che sembrano scavare tunnel a ogni tentativo di portare avanti il pallone, Zalewski che perde l’orientamento quando tenta di accelerare, la difesa che si spalanca come un melone davanti a ragazzi dai nomi pressoché simbolici, Cauly e Nonato.

Quali misteriosi giri della realtà abbiano trasformato la Roma da farfalla, non scintillante però capace di svolazzare, in bruco nel giro di una settimana non è chiaro. Né a noi né, supponiamo, a Mourinho. A sua volta talmente interdetto da tentare di rimettere insieme i cocci usando come adesivo una colata di giovani buttati dentro agli sgoccioli della partita. Più il reintegrato Shomurodov, al quale almeno bisogna rendere il merito non solo di aver segnato un gol dall’esilio ma pure di avere impresso al girotondo d’attacco un’andatura leggermente meno malinconica.

Dice: non meritavano di perdere. Invece sì, perché questa è la squadra che dovrebbe lottare per lo scudetto italiano, non quello bulgaro, la squadra che dovrebbe tornare in Champions, che è testa di serie numero uno in Europa League e ha passato l’estate a compiacersi dei colori brillanti del proprio restauro. Colpita al cuore dalla perdita di Wijnaldum, certo, insultata ieri nei suoi valori tecnici da un campo spelacchiato come un ronzino, confusa nell’umore e nella disinvoltura dalla pressione di dover dimostrare qualcosa ogni giorno e ancora di più dopo i ceffoni di Udine. Ma non meriti di non perdere quando hai uno come Dybala e invece di godertelo in costruzione e finalizzazione lo spedisci a pressare e a coprire; quando non sei in grado di trovare uno spazio che sia uno se non ti lasciano partire in contropiede (comunque con calma e per piacere); quando gli uomini incaricati di fare luce sono a loro volta immersi nelle tenebre. Non può essere questa la Roma, questa di Spinazzola fermo sul posto e di Pellegrini sfiatato dall’andata e ritorno, dalla necessità di abbassarsi a costruire per sé stesso, e accidenti se in avanti manca il suo flusso di idee. Nel frattempo, le squadre che dovrebbero essere i veri termini di confronti stritolano i tuoi avversari storici. Molto cambierà con il ritorno di Zaniolo. Intanto il tempo passa, i punti sgocciolano via e la stagione non aspetta.

 


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