Una volta sembrò persino che volesse uscirne da modesto. Cominciò una frase dicendo «Non sono il migliore del mondo». Tutti si guardarono strani, qualcuno pensò che a Mourinho fosse caduto in testa un vaso di ortensie. Ma poi ci pensò subito lui stesso a spazzare via gli occhi a palla, esprimendo il concetto compiutamente: «Non sono il migliore del mondo, ma penso che nessuno sia meglio di me». Quella volta, tirarono tutti un sospiro di sollievo: chi lo ama, che mai accetterebbe da lui la falsa modestia e anche un solo sbocco di ipocrisia, ma in fondo anche i suoi odiatori benpensanti e piccolo borghesi, che mai e poi mai rinuncerebbero all’idea di scandalizzarsi davanti a quell’insopportabile boria. Oggi che compie sessant’anni, che sostanzialmente mette la prima punta del piede dentro il portale della terza età, resta una fortuna per tutti averlo in Italia. Come succede sempre a questi mattatori dall’intelligenza affilata, anch’egli tiene perfettamente in equilibrio la bilancia del gradimento: cinquanta e cinquanta. O lo amano o lo odiano. Non è prevista la via di mezzo. Niente ma, se, però. Che lo adorino o che vogliano strangolarlo, nessuno ha mai provato indifferenza. Comunque, nessuno ne farebbe a meno. Di che si parla, se no?
Questione di carattere
I conformisti amano raccontare che Mourinho ha un pessimo carattere. Soltanto perché ne ha uno. Il suo è innegabilmente piuttosto marcato, diciamo pure fuoritaglia, ma l’effetto ottico è deformante anche perché in definitiva si trova a vivere nel girone dantesco dei calcolatori e degli opportunisti al massimo grado, l’ambiente moscio e ruffiano di un certo calcio, in cui l’articolo uno è piacere a tutti, a qualunque costo, anche a costo di non piacere a nessuno. In questo brodo primordiale, Mourinho sguazza a comode bracciate, gigioneggiando e divertendosi a passare da eretico e provocatore. Spakk-One. Una volta, commentando una delle sue medaglie, non fece nulla per schermirsi a favore di telecamere: «Solo uno tra ventuno non voleva darmi la laurea honoris causa: ma è normale, anche Gesù non piaceva a tutti». Il cinquanta che lo adora metterebbe la mano sul fuoco sulla sua sincerità, sul personaggio schietto e diretto che corrisponde alla persona. Il cinquanta che lo detesta parla di grande recita, di una continua messinscena da actor studio. Non è un problema di Mourinho. A sessant’anni, non è poi così diverso da quando ne aveva trenta o quaranta. Se fosse davvero tutta una finzione, non potrebbe durare così bene e così a lungo. A un certo punto, tutte le menzogne cadono per stanchezza: sostenerle all’infinito non è possibile, né umano. Mourinho non si affatica per essere Mourinho. È bio, naturale, km. zero. E tanto basta.
Lo Special-One
A definirlo Special-One non ci ha pensato nessuno, ha provveduto in proprio: 2004, conferenza stampa di presentazione al Chelsea, subito in distribuzione al pubblico il proprio biglietto da visita, please don’t call me arrogant, but I’m European champion and I think I’m a special one, per favore non chiamatemi arrogante, sono il campione d’Europa e penso di essere uno Special-One. Quella volta, una definizione inglese divenne un neologismo nostro. Anche se ultimamente non si usa più così spesso nei titoli, anche se il termine sa già un po’ di modernariato, da allora fu anche per l’Italia l’unico e originale Special-One. Per molti Istri-One, per qualcuno Fanfar-One. Ma quando un giorno arrivò all’Inter, tutti compresero quanto servisse al grigiore del nostro costume, ultimamente degenerato fino all’Adanismo degli spazi, delle sovrapposizioni e della densità. Rispetto a questi tetri bacchettoni, lui ci ha messo l’ironia e il sarcasmo. Mai merito fu più angelico. E comunque, per non buttare tutto in gossip, fermandoci alla stravaganza dell’uomo. C’è anche l’allenatore. Non ci ha messo solo le parole e la postura, in questi sessant’anni. Ci ha messo i fatti. Mourinho è uno di quegli allenatori che col solo curriculum (ha vinto 26 trofei) brucerebbero l’intero spazio dell’articolo. In Italia ci ha messo il Triplete, il gesto delle manette per gli arbitri, l’epico anatema contro la prostituzione intellettuale. Un po’ di tutto, perché in fondo, nel suo genere, si parla di un genio. Avanti con la torta, sotto con le bollicine, stasera festeggia in un albergo romano con una ventina di persone tra familiari e amici. Tanti auguri José. Come si dice, il meglio deve venire. Ma se anche non venisse, c’è già abbastanza. Ci sono già sessanta motivi per tenercelo stretto.