Sua madre, per prima cosa, voleva che facesse il pianista. Poi che fosse sempre il numero uno. In una delle due cose José Mourinho l’ha accontentata. La scelta di diventare uno degli allenatori con più trofei al mondo - 26 - e la scelta di essere l’uomo in grado di accendere tifosi e città con un solo sguardo - Roma, Londra, Milano e Madrid - Mourinho l’ha presa, inconsciamente, da ragazzino.
La sua infanzia
Nato e cresciuto in una famiglia agiata ma non ricchissima, ha visto nel giro di poche settimane sgretolarsi tanto, se non tutto, per colpa della caduta del dittatore Antonio Salazar. Le figure chiave dell’infanzia e della formazione di Mourinho sono tre: i suoi genitori, la sorella Teresa e lo zio. Partiamo da quest’ultimo: Mário Ascensão Ledo è proprietario di una fabbrica ittica (di sardine) di successo e presidente della Confindustria di Settore e, dopo il crollo del regime, molte delle proprietà di famiglia vengono sottratte. E la ricchezza lascia il posto alla malinconia. A José e a tutti gli altri, però, non manca nulla: istruzione, affetto, cibo. Da ragazzino Mou viene chiamato Ze Mario, la sua è una famiglia piccola ma unita, molto credente che vede il padre sognare per il figlio un futuro nel pallone e la madre, Maria Julia Carrajola dos Santos, una vita nell’istruzione, magari accompagnata dal pianoforte o dall’economia, come il nonno.
Il grande dolore
Il papà vive per il calcio, la mamma è insegnante elementare, a completare il nucleo c’è Teresa, la sorella maggiore di Mou, che muore a 37 anni per le complicazioni di un diabete che, nel frattempo, l’aveva resa quasi cieca. Una batosta per José che, dopo, parlerà del suo addio come “del giorno peggiore della mia vita”. Un dolore che lo accompagna sempre, custodito nel suo cuore, di cui parla poco e a fatica. Ne aveva vissuti altri di momenti complicati, da ragazzo, soprattutto quando l’amato papà Felix (scomparso nel 2017) da allenatore venne licenziato in tronco il giorno di Natale. Mou ha 9 anni ed era il periodo in cui seguiva sempre il padre in giro per i campi.
Il padre e il calcio
Sognava di fare il calciatore (lo fece, con poca fortuna), ma voleva soprattutto sedere in panchina. E voleva che lo sport, che lui ha studiato all’università a Lisbona, fosse molto più pratica che teoria: raccontano le cronache che fi n da ragazzino fosse appassionato di numeri e di tattica ma che poi, alla fine, il richiamo del campo aveva sempre la meglio. La mamma un po’ lo sgridava, un po’ sorrideva perché in lui vedeva la passione del predestinato: “Fai una cosa, ma falla bene”, la sintesi del suo pensiero. José l’ha sicuramente resa fi era e ha seguito alla lettera il consiglio. Nato a Setubal, è molto legato anche a Ferragudo, antico borgo di pescatori in Algarve, dove nel 1938 era nato proprio il padre, a cui è stata intitolata una via con una targa che, lo scorso anno, svelò al mondo proprio José, da poco allenatore della Roma. Sarà un caso, ma forse no, che ami andare in ritiro proprio in quelle zone. Aria di mare, aria di casa. Aria di famiglia. Ex portiere del Vitoria Setubal e del Belenenses, una presenza nella nazionale portoghese, Felix Mourinho ha poi intrapreso la carriera di allenatore guidando lo stesso Belenenses, il Rio Ave e il Vitoria Setubal ed è stato, a lungo e per sempre, la guida del figlio.
Quella telefonata
Lo sapevano tutti, non a caso Pep Guardiola, con cui Mou nel corso degli anni non se le è mandate a dire, lo chiamò in occasione della scomparsa del papà. Una telefonata breve ma sentita, molto apprezzata da José che poi fece lo stesso quando un grave lutto, la morte della mamma, toccò all’allenatore catalano. «Quando aveva 13 o 14 anni sono diventato un manager e ho dovuto viaggiare - ha ricordato Felix Mourinho anni fa -. José aveva sempre trovato un modo per presentarsi ovunque io fossi. In pullman o anche in camion per il trasporto del pesce, sarebbe sempre stato con me in qualche modo per le partite del fi ne settimana. Ha iniziato a gestire i raccattapalle. Si posizionava dietro la nostra panchina. Gli davo istruzioni che avrebbe trasmesso ai giocatori correndo dall’altra parte del campo per dirglielo. Ha iniziato molto presto a occuparsi di tattiche e sistemi di gioco». I due avevano un rapporto talmente stretto che una volta Felix ebbe una discussione con il presidente del Rio Ave, che gli impedì di schierare il figlio, contro lo Sporting Lisbona: José stava con le riserve, il padre non lo chiamava quasi mai, preferendo usarlo come osservatore, ma quel giorno un titolare finì ko nel riscaldamento, e lo fece scaldare. Tornò al Rio Ave nel 1983-84, poi Varzim, Uniao Madeira e O Elvas, prima di chiudere il cerchio col Vitoria Setubal. La loro città del cuore, la stessa dove un giorno, forse, si ritirerà José, non prima di aver allenato la nazionale portoghese. Ma questa è un’altra storia.