Rosella Sensi ha guidato la Roma nel primo decennio degli anni Duemila. Un periodo articolato per la società giallorossa, passata dalla vittoria dello scudetto nel 2001 alle vicissitudini societarie che hanno portato alla vendita del club agli americani guidati da James Pallotta. Con lei, nello speciale realizzato da Il Cuoio, abbiamo ripercorso uno dei momenti più difficili che ha dovuto gestire da giovane manager: quello della stagione 2004-05, nella quale la Roma affrontò in Champions League il Bayer Leverkusen. Dottoressa Sensi, il 19 ottobre 2004 la Roma in trasferta a Leverkusen perse 3-1: che ricordi ha di quella partita? «All’epoca papà era presidente e io ero amministratore delegato della società già dal 2000. Ricordo la trasferta e la sconfitta in un anno difficilissimo. Nonostante questo, ovviamente, nutrivamo la speranza di vincere perché la squadra aveva una buona rosa».
Una stagione complicata
Invece come andò?
«Purtroppo, dopo il gol di Francesco (per la Uefa fu autogol di Berbatov, ndi), arrivò quel 3-1 che ci spezzò le gambe e rese tutto difficile. Quell’anno era iniziato in maniera brutta con l’addio già in estate di Prandelli. Non voglio accampare scuse ma sicuramente quella fu una partita complicata capitata in un anno complicato».
Era il famoso anno nel quale sulla panchina della Roma si avvicendarono quattro allenatori. Dopo Prandelli perché decideste di chiedere la disponibilità a Rudi Voeller?
«Inizialmente questa cosa la seguì direttamente il direttore sportivo dell’epoca, Franco Baldini: fu lui a suggerire a papà di prendere Rudi Voeller».
In quella trasferta a Leverkusen a guidare la squadra c’era già il terzo tecnico di quell’annata, Delneri. Perché l’esperienza di Voeller durò così poco?
«A Voeller io sono molto legata, è stato un grande campione della Roma. Evidentemente le sconfitte che arrivarono, la tensione e la pressione che c’erano lo spinsero a scegliere di fare altro nella vita e di non proseguire quell’esperienza».
L’elogio agli allenatori
Di quelli che hanno lavorato sotto la sua gestione, chi è stato l’allenatore più adatto a gestire l’ambiente Roma?
«La risposta sembrerebbe quasi ovvia perché mister Capello ci ha fatto vincere uno scudetto. Comunque ne ho avuti diversi molto bravi: lo stesso Spalletti e Claudio Ranieri hanno sempre saputo gestire in maniera eccellente queste situazioni».
Quell’anno la sfiorò la paura di retrocedere?
«A guardare la classifica il pensiero ce l’avevano tutti ma quella squadra non era da retrocessione, soprattutto perché il gruppo funzionava e anche le persone che lavoravano a Trigoria lo facevano tutte insieme per le stesse finalità: fu una cosa fondamentale. Quindi la risposta è no!».
C’è un aneddoto particolare che ricorda di quella difficile stagione 2004-05?
«Un aneddoto vero e proprio no. Però mi fa piacere ricordare quando dovetti scegliere il sostituto di Delneri, che si era dimesso a marzo. La decisione di prendere Bruno Conti la condivisi con Daniele Pradè, Vito Scala, Totti e Montella. Era una decisione importante e la loro presenza, il loro atto di responsabilità, il loro coinvolgimento in quella situazione fu confortante per chi doveva effettuare quella scelta. Perché è vero che noi come proprietà dovevamo farlo ma vedere quella disponibilità da parte loro ci dette più tranquillità».
Eravate come una famiglia.
«I professionisti che ho avuto in quegli anni sono stati diversi ed estremamente bravi, tanto che molti continuano a lavorare nel mondo del calcio. Però si respirava un’affinità di intenti particolare che mi auguro possano continuare ad avere anche gli altri».