Il vento dell’oceano scuote le palme davanti a una vista mozzafiato: le folate sono così forti da consigliare uno spostamento in veranda, al riparo, dove ci accomodiamo al termine dell’allenamento. Nel resort della Roma ad Albufeira, lontano dalla movida del centro ma vicino a una delle spiagge più suggestive della zona, il silenzio e la pace avvolgono i turisti, per lo più inglesi, che sorseggiano i loro drink sui bordi delle tre piscine. Houssem Aouar si presenta all’appuntamento con una stretta di mano decisa, il sorriso accogliente. E un approccio timido. Non per le difficoltà ad esprimersi in italiano, già abbondantemente superate «per rispetto dei tifosi e del club che mi ha scelto», ma per un’inclinazione quasi pudica verso il racconto di se stesso. Nella sostanza comunque parliamo di un ragazzo di 25 anni che sembra aver capito tutto: luoghi, contesto, prospettive. Alla prima esperienza di vita fuori da Lione e dal Lione, è pronto ad alzare l’asticella e magari a vincere il primo titolo della carriera.
Che obiettivi ha fissato, Aouar? Togliamoci subito la domanda più banale.
«Voglio rendere i tifosi fieri di me e della squadra. Per accontentarli dobbiamo lottare per la maglia e regalare spettacolo sul campo, cercando di vincere ogni partita. L’ambizione c’è ma occorre vivere ogni impegno con umiltà».
Approfondiamo dopo, ora torniamo alle origini: come ha conosciuto il calcio?
«Sa che non so risponderle? Da bambino mi sono ritrovato con un pallone tra i piedi anche se nessuno in famiglia ha mai giocato. A 5 anni ero già nella squadra del quartiere, poi ho continuato per strada con gli amici nella mia banlieue, che si chiama Villeurbanne. A un certo punto è arrivato il Lione, dove sono entrato bambino e sono salito fino alla prima squadra».
Dicono che debba tutto a sua madre.
«È la verità, l’attaccamento è forte. Lei è nata in Algeria, mio padre in Francia. Ma è stata la mamma a crescere me e i miei due fratelli più grandi, lavorando duro nel soccorso medico. Mi ha insegnato i valori principali: soprattutto il rispetto. Per me la felicità più grande è sapere che oggi sia orgogliosa di me».
La signora voleva che Houssem diventasse un dottore.
«Sì ma non è stato possibile (ride, ndi). Ho preso il diploma e mia madre era contenta. Ma presto ha capito che il calcio era la mia vocazione. Non è stato tutto facile. Lei non aveva la patente eppure non mi ha mai fatto mancare il suo sostegno: mi accompagnava con il bus o con la metropolitana agli allenamenti e alle partite. Però ne è valsa la pena».
E suo padre cosa pensa?
«Non voglio parlare di lui».
Andiamo oltre. Quando si gioca a calcio e si è francesi di origine algerina, il modello è per forza Zinedine Zidane.
«Zidane è stato unico, inimitabile. Non potrò mai raggiungere il suo livello. Però è chiaramente il mio calciatore preferito per la tecnica e l’eleganza».
La Roma era nel suo destino: uno dei suoi maestri al Lione è stato Clement Grenier, che ha frequentato Trigoria per sei mesi nel 2017.
«In effetti è strana la coincidenza. Clement è stato molto importante al Lione perché ha facilitato il mio inserimento nella squadra quando ero giovane. Lui, che era già un calciatore affermato, mi ha aiutato e protetto. Non lo dimentico».
Grenier come compagno, Rudi Garcia come allenatore. Cosa le hanno raccontato della Roma?
«Ovviamente ci siamo messaggiati nei giorni in cui mi stavo accordando con il club. Secondo loro mi divertirò. Mi hanno descritto un posto magnifico in cui i tifosi sono straordinari. Devo ammettere che me ne sono già accorto: per strada hai la sensazione che un’intera città segua il calcio e tifi per la Roma. Questo mi convince di aver scelto bene. Ora voglio ripagare la fiducia che mi è stata concessa».
Ecco: chi l’ha convinta a firmare per la Roma?
«Mourinho è stato fondamentale: l’occasione di essere allenati da un fenomeno è imperdibile. E anche Tiago Pinto ha fatto la sua parte perché ha dimostrato di volermi davvero. Ma lasciatemi essere onesto fino in fondo: quando lavori nella Roma è più semplice convincere qualcuno a raggiungerti. È la Roma la vera attrazione».
Questa è una tappa nel percorso di crescita o un punto d’arrivo nella carriera?
«Nessuna delle due cose. Sarebbe sbagliato considerare la Roma un momento di passaggio. Sono un tipo ambizioso e ho sempre puntato a raggiungere una grande squadra. Ora ci sono e devo dimostrare di meritarlo: voglio fare grandi cose qui».
Due anni fa Guardiola stravedeva per Aouar. Poi la maturazione si è un po’ fermata. Ha avuto problemi fisici o di rapporti?
«Non ho avuto infortuni gravi, altrimenti non avrei giocato 45 partite nella penultima stagione. In quel caso i risultati di squadra non sono stati all’altezza, arrivammo ottavi in Ligue 1, quindi era complicato per tutti emergere. Nell’ultimo anno invece i problemi sono stati diversi: quando un calciatore arriva alla fine del contratto, la gestione si complica. A me dispiace molto aver lasciato il Lione da svincolato e posso assicurare di aver fatto il possibile perché questo non avvenisse. Sono lionese, profondamente, ed è un peccato che la mia storia si sia conclusa così. Ma ora sono alla Roma ed è giusto voltare pagina».
Ha sempre giocato come centrocampista?
«Sì. E ho fatto tutti ruoli. Mi è capitato di giocare anche da trequartista, o da ala, o da nove e mezzo come chiamiamo in Francia il ruolo di finto centravanti. Per me non sarà un problema adattarmi anche nella Roma».
Nel suo ruolo potrebbe entrare in concorrenza con Lorenzo Pellegrini, che è il capitano.
«Perché mai? Io ho sempre pensato che i calciatori bravi possano e debbano giocare insieme. Lorenzo è uno di questi, verrà naturale integrarsi».
Con Mourinho per ora state giocando con il 3-5-2. Ma se le capitasse anche di essere utilizzato in una mediana a due, da playmaker, si troverebbe a suo agio?
«Certamente. L’ho già fatto per due anni. In una linea a due c’è sempre un calciatore più fisico e uno di qualità. Se l’allenatore vuole, sono a disposizione».
Qual è il compagno che l’ha più impressionata nei primi giorni?
«Sono tanti... Ma li conoscevo già, da fuori. Sicuramente il talento di Dybala è speciale, lo vedi in qualunque allenamento. Ma lo stesso Lorenzo, oppure El Shaarawy fanno numeri incredibili».
E il compagno con il quale passa più tempo?
«N’Dicka. E’ normale, perché parliamo francese».
A gennaio parteciperà alla Coppa d’Africa. Ha fatto discutere in Francia la sua decisione di mollare la nazionale dopo l’esordio per indossare i colori dell’Algeria.
«Questo è un tema sensibile che preferirei non affrontare. Dico solo che sono fiero di rappresentare l’Algeria. E sono sicuro che la Roma, che ha una rosa competitiva, saprà rinunciare a me per qualche settimana».
Cosa pensa invece da atleta musulmano dell’assalto saudita ai calciatori europei? Se le arrivasse un’offerta mostruosa dal Medio Oriente come si comporterebbe?
«Non ci penso. Sono alla Roma da tre settimane, preferisco godermi questa esperienza».
In conclusione, visto che da ragazzo ha pensato anche di diventare giornalista sportivo: si faccia una domanda che non le ho ancora posto.
«Ahh, così mi mette in difficoltà (altra risata, ndi). Però è vero che il vostro lavoro mi appassiona. Se non fossi riuscito a fare il calciatore...».
Ok, a ognuno il proprio mestiere: mi dica, per chiudere, come trascorre il tempo libero.
«A casa. Con la famiglia. Mi basta questo».