Più che una partita di calcio, un insieme di virtuosismi. Cinema d’azione. E’ stata un’esibizione di destrezza, velocità, precisione in cui la Roma sembrava voler sprigionare tutta l’energia compressa negli ultimi mesi. Si sono visti schemi, rincorse, finte, contrasti. E gol, uno dietro l’altro. La vittoria contro il Cagliari, la terza in tre partite con Daniele De Rossi in panchina, è l’indizio che mancava per certificare il primo risultato della nuova gestione: i tifosi hanno smesso di fischiare la squadra che aveva causato l’esonero di Mourinho. Il resto, le ambizioni da Champions, i calcoli sulla prospettiva, verranno con calma: già il quarto step, sabato, può provocare vertigini perché l’Inter non è il Cagliari e neppure il Verona o la Salernitana. Bene ha fatto De Rossi ad abbassare l’asticella delle illusioni. Molto dev’essere ancora migliorato, niente è per sempre.
La svolta con De Rossi
Cosa è successo a un gruppo che sembrava disintegrato dal malessere appena tre settimane fa? La sintesi di Paulo Dybala, fedele discepolo di Mourinho ora responsabilizzato dal paragone con Totti, è persino grossolana: «De Rossi ha riportato entusiasmo e fiducia». In realtà c’è molto altro nella delicata transizione tra due ere romaniste complementari, in quanto parti della stessa stagione, eppure opposte, per filosofia e modalità. Tanto per cominciare De Rossi ha modificato, per non dire stravolto, i sistemi di allenamento a Trigoria, agevolato nel programma da “sole” tre partite ufficiali in venti giorni: dopo aver studiato le idee di Spalletti, ma anche la disciplina del possesso palla di Luis Enrique e l’aggressività di Conte, ha proposto alla squadra un programma che prevedesse sedute più lunghe e intense (fino a due ore) per migliorare l’efficienza atletica dei giocatori nel controllo delle partite. Non per delegittimare i metodi di Mourinho, un totem che spesso vinceva grazie ai gol dell’ultimo quarto d’ora, ma per poter applicare il suo sistema di gioco: sviluppare un calcio rapido, basato sui fraseggi e sul talento dei palleggiatori, richiede brillantezza e lucidità per un altissimo numero di minuti. «Se addormentiamo la partita, rischiamo di addormentarci noi e ci ammazzano» ha osservato De Rossi, consapevole del rischio calcolato: bastano un passaggio sbagliato o una scelta infelice a sbilanciare l’assetto e a concedere un’occasione da gol all’avversario.
La strategia della nuova Roma
L’altro elemento trasgressivo, quasi ardito, è lo schieramento: l’abbandono del 3-5-2 per il 4-3-3 risponde al desiderio dichiarato di sostituire un difensore con un giocatore in più nella fase offensiva. Non era scontato che la Roma in pochi giorni recepisse lo stravolgimento tattico. Anzi, se dovessimo solo considerare le partite contro Verona e Salernitana i problemi non sono mancati. Ma il 4-0 al Cagliari ha dimostrato che, almeno in certi contesti, la Roma possa imporre la propria superiorità. Era successo anche con Mourinho - pensate al 7-0 all’Empoli, se non al più recente 2-0 contro il Napoli o al pareggio contro l’Atalanta - e può succedere in un’altra maniera con De Rossi. Soprattutto se Dybala torna ad essere determinante senza perdere troppe partite per infortunio e se Pellegrini torna un grande calciatore: che abbia segnato 3 gol consecutivi in 3 partite diverse per la prima volta in carriera, è un dato significativo. Se poi aggiungiamo che Lukaku, autore del primo gol del nuovo corso, nelle ultime due settimane è stato una comparsa, i motivi per guardare al futuro con ottimismo esistono. Tanto più che De Rossi ha potuto virare sul 4-3-3 grazie al supporto dei Friedkin. Senza il «piede magico» di Angeliño e di un’alternativa importante come Baldanzi, alla lunga il telaio non avrebbe retto al cambiamento. Adesso invece, con due giocatori per ruolo e anche di più, la Roma ha una struttura abbastanza omogenea.
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