© LAPRESSE Inzaghi a Palermo: il grande abbraccio
PALERMO - "Il calcio mi piace talmente che sarei disposto a tornare indietro nel tempo e ricominciare da 0 anche senza avere la certezza di vincere tutto quello che ho vinto. Perché la spinta vera è provare emozioni". Ritratto intimo di Pippo Inzaghi, che oggi sbarca a Palermo per prendere contatto con la città (alle 19 saluterà i tifosi dal piazzale dello stadio) e domattina alle 11 sarà presentato ufficialmente nella sala stampa del centro sportivo di Torretta. Parole e storie per capire perché l'allenatore a cui il Cfg affida il difficile compito di esaudire i sogni di una Palermo affamata di serie A può essere davvero l'arma in più.
La voglia di Inzaghi
Se Dionisi veniva dalla A con l'impronta del “giochista” e poi si è perso in una stagione complicata, Inzaghi conosce molto meglio le dinamiche di un calcio che pretende e ha poca pazienza: in fondo lui respira lo stesso ossigeno. Ha vissuto e giocato nei maggiori club italiani e già allenato in piazze del Sud (Benevento e Reggina) ma soprattutto il suo spirito è sempre stato questo. Lui vive per il calcio, lo faceva da giocatore e lo fa ancora di più da allenatore. Lo stipendio degli sceicchi è importante (700.000 euro annui) ma i soldi dettano solo una parte delle sue scelte. I veri motori sono passione e fame di aggiungere nuovi successi. Ha lasciato la A perché spera di ritrovarla presto con una società alle spalle che gli garantisca voglia di primeggiare. Il Palermo ha puntato oltre che sui suoi numeri tecnici, sul suo spirito: è quello che serve trasmettere a un ambiente eternamente in ebollizione.
Inzaghi allenatore
Una parte delle sue urla in panchina nascono dalle partite in mansarda che da bambino faceva con Simone nella casa di San Nicolò, provincia di Piacenza. Lo strumento da calciare era una pallina da tennis o quando non c'era un calzino arrotolato. Il simbolo di un amore per il pallone mai mutato neppure quando il ruolo è cambiato. Da calciatore è stato dipinto come un Dongiovanni per le sue fidanzate nel mondo dello spettacolo ma era, innanzitutto, un professionista inappuntabile. Maniaco dell'alimentazione, mangiava quasi unicamente bresaola e l'unico sfizio erano i biscotti Plasmon, oggi non più di moda. Per gli appuntamenti principali non stava nella pelle, litigò con Ancelotti che lo tenne fuori nella finale Champions persa dal Milan a Istanbul (la rimonta del Liverpool) ma covò per due anni il riscatto fino a decidere con una doppietta la rivincita del 2007 ad Atene. E dopo quella partita comprò di tasca sua 2.000 maglie celebrative dello sponsor per regalarle agli amici, giornalisti (alcuni...) compresi.
Meticoloso e attento
Ancora in attività, fu fra i primi a studiare con le video cassette dove si buttavano i portieri sui rigori. Nei giorni di riposo dagli allenamenti, andava a vedere la Pro Patria: già da calciatore conosceva tutti i giocatori di ogni serie. La sua carriera in panchina iniziò con un semi-giallo: al Milan allenava la Primavera, e Allegri, alla prima squadra, lo guardava storto perché pensava che Pippo parlasse male di lui al presidente per sostituirlo. Invece, arrivò Seedorf e per Inzaghi la promozione giunse l'estate dopo agli sgoccioli del ciclo Berlusconi, sfumata la trattativa con Conte. Non fu un'annata da ricordare ma fra le sue trovate l'invenzione di Menez (che con lui fece 16 gol e poi portò alla Reggina) falso nueve. Sono passati 10 anni, esperienze e vittorie, Inzaghi resta un genuino innamorato del calcio, meno passionale ma più razionale, con dentro una forza coinvolgente che ora mette a disposizione del Palermo. Un modo per dire, io sono sempre Super Pippo, e se oggi non ci posso più pensare io, sarà il mio amore a buttare la palla dentro e portarvi tutti con me in un vortice di emozioni.
