Superlega, l'unica strada resta il dialogo

L'analisi dell'avvocato e esperto di diritto sportivo Mattia Grassani dopo la decisione della Corte di giustizia europea
Mattia Grassani
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Decisione sicuramente storica quella adottata ieri dalla Corte di giustizia europea del Lussemburgo, la cui portata non è ancora possibile, in assenza delle motivazioni integrali, comprendere appieno. Contrasta con le leggi dell’Unione Europea subordinare all’approvazione di Uefa e Fifa il progetto di uno o più club di organizzare competizioni senza l’egida delle istituzioni sportive, dicono i 15 giudici della Corte. Manca trasparenza, oggettività e non si possono escludere comportamenti discriminatori in capo alle confederazioni continentali e mondiali, aggiungono. Il collegio, inoltre, ha ritenuto restrittivo della libertà imprenditoriale l’esclusivo controllo di Uefa e Fifa dello sfruttamento dei diritti commerciali legati alle competizioni dagli stessi organizzati. Campionati europei, Mondiali, Champions, Mondiale per club e via discorrendo, non devono essere più oggetto di privativa, in regime di monopolio. Troppi i diritti diffusi, partendo dai media, dai consumatori per finire ai telespettatori che, nel regime attuale, vengono danneggiati.

Il libero mercato e gli scenari futuri

Occorre vi sia competitività, accettazione delle regole di mercato, alternanza nella gestione, essendo illegittimo sanzionare chi intende scegliere altre etichette per fare sport-business, che non siano quelle che, da sempre, regnano nel mondo del pallone. Si sta delineando uno scenario inaspettato forse anche rivoluzionario: fermo ogni approfondimento conseguente alla lettura del provvedimento integrale, qualsiasi ente privato, associazione o raggruppamento di imprese sarà libero di organizzare, in piena autonomia, competizioni sportive agonistiche senza che Uefa e Fifa possano opporsi.

La concorrenza e i diritti televisivi

Lo sport, a livello professionistico, non solo il calcio, ha rilevanza economica assoluta, quindi nessuno, anche le federazioni, può porre limiti alla concorrenza ed al mercato. Questo provvedimento sancisce la sconfitta del principio di “specificità dello sport” che, storicamente, ha consentito ai regolatori del calcio di adottare schemi normativi a salvaguardia dei valori sportivi, di fronte all’innegabile portata commerciale che, ormai, attraverso trasformazioni epocali, lo sport a certi livelli ha raggiunto. Attenzione al tema dei diritti televisivi, poi, perché la pluralità di manifestazioni tra loro concorrenti rischia di determinare, se non gestita con buon senso, una frammentazione dell’interesse e, quindi, forti disparità tra i club partecipanti alle competizioni, per così dire, d’élite e quelli relegati in tornei di fasce minori.

Una sentenza inattesa 

Pochi pensavano che l’iter giurisdizionale terminasse in questo modo e, francamente, il sentiment generale deponeva nel senso che, anche nella presente fattispecie, venisse ribadito il principio di mantenimento dello status quo, tanto che l’Avvocato Generale, il quale formula un parere non vincolante per la Corte, aveva chiesto il rigetto del ricorso. Sottovalutazione del problema e assuefazione allo strapotere sin qui esercitato non devono, però, trasformarsi in un boomerang per il governo del football o, peggio ancora, come accadde con la sentenza Bosman, provocare facili isterismi e conflittualità senza quartiere. Di certo si è aperta una breccia, forse meglio dire una voragine, di cui i soggetti intenzionati ad entrare nel mercato sportivo per organizzare tornei “privati” sfrutteranno ogni profilo.

Come reagiranno Fifa, Uefa e Figc?

Senza dubbio Fifa e Uefa, ma anche le singole federazioni, non rimarranno inermi, studieranno rimedi finalizzati ad impedire la perdita del controllo dell’organizzazione del calcio a livello mondiale, europeo e nazionale, che sarebbe davvero esiziale. La posta in palio è troppo alta, lo sport, il calcio in primis, potrebbero risvegliarsi a ground zero e necessitare di una completa riscrittura. La Figc, trattandosi di associazione di diritto privato che esercita attività avente anche rilievo di natura commerciale in un paese dell’Unione Europea, dovrà adeguarsi ai principi sanciti dalla Corte di Giustizia Europea, ferma la sua autonomia rispetto all’ordinamento generale e le prerogative che gli competono da Statuto. Appare evidente che, tuttavia, le motivazioni dell’organo di giustizia comunitario ci aiuteranno a comprendere fino in fondo la portata della statuizione in commento.

Il futuro è tutto da decifrare

Quella che ci propone oggi la Corte di Giustizia Europea è una partita ancora tutta da giocare, molto dipenderà anche dalla politica, sportiva e non, e dalle scelte dei club: si aprirà un dialogo con le istituzioni che certamente saranno più aperte e concilianti, per il futuro, ad ascoltare le rivendicazioni delle società onde evitare fenomeni per così dire ulteriormente scissionisti? Oppure si percorrerà la strada del muro contro muro, introducendo un modello di sport svincolato dal cosiddetto “calcio istituzionalizzato”? La storia fornirà la risposta definitiva, ma non escludo che questo provvedimento possa davvero rappresentare uno snodo determinante per la riapertura di un confronto che, finora, vedeva i club, ed i presidenti, veri finanziatori del movimento, in una posizione di debolezza negoziale rispetto agli enti organizzatori. Ciò che conta, però, è non lasciarsi tentare da guerre di religione, creando contrapposizioni che sarebbero deflagranti in questo momento di incertezza e sbandamento, bensì dialogare, confrontarsi e fare sistema. Ne ha bisogno l’intero movimento sportivo, ne abbiamo bisogno tutti noi che amiamo il calcio.


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