L’aria di casa come miglior toccasana per recuperare dall’ennesimo infortunio. Doveva essere a Vienna e invece Matteo Berrettini è rimasto in Italia per colpa di quel problema al piede sinistro che ha accusato durante gli ultimi due giorni del torneo di Napoli, dove ha perso all’ultimo atto contro Musetti. Le Finals di Torino sono sfumate, ma c’è una stagione da chiudere al meglio e magari con una ciliegina sulla torta.
Berrettini, come sta?
«Meglio, il piede è ancora un po’ dolorante, ma stringo i denti e sto facendo di tutto per essere in campo a Parigi-Bercy la prossima settimana. Alla fine mancano solo quel torneo e la Davis. Fortunatamente non è un infortunio serio. Era importante scongiurare qualsiasi tipo di lesione, ma c’è del liquido nel piede che deve andar via e sto facendo terapie in tal senso. Poi, con il mio team, cercherò di capire da cosa è causato. Bisogna avere pazienza».
Ha messo in dubbio il metodo con cui si allena o è solo sfortuna?
«Attaccarsi solo a quella può valere una, due volte. Fondamentalmente quello che facciamo noi tennisti è portare mente e corpo al limite. Sin da bambino mi sono fatto male spasso perché spingevo sempre al 110%. Si sa che lo sport a questi livelli non è il massimo per il corpo umano. In più viaggiamo tanto e spesso in condizioni diverse. Insomma, infortunarsi è fisiologico. Ma è difficile andare a trovare qualcosa che non c’è: non voglio fissarmi su certi aspetti, in fin dei conti sono numero 13 del mondo».
E quest’anno, tutto sommato, due tornei li ha vinti.
«Semifinale all’Australian Open, finali, di cui una in Italia, l’ottima Davis, la Laver Cup, i quarti agli US Open. È ovvio che le aspettative e le pressioni aumentino, anche dall’esterno. Oggettivamente, per quanto ci ho messo, per quanto ho giocato, è stata un annata positiva».
Come sta trascorrendo questi giorni?
«Mi alleno, vado in palestra, passo un po’ di tempo con la famiglia. L’ho vista ai tornei, ma non me la sono goduta fino in fondo».
C’è qualcun altro che le è stato vicino dopo l’ultimo infortunio?
«Martedì ho sentito Lorenzo Musetti, voleva sapere come stessi. Mi ha fatto molto piacere. Grazie anche alla Davis, tra di noi si sta creando un’amicizia fuori dal campo. Credo sia molto bello: come hanno dimostrato Federer e Nadal, il tennis va oltre ogni cosa».
Sta ricevendo anche un aiuto psicologico?
«Da quando ho 17 anni lavoro con un mental coach. Quello della salute mentale è un argomento che non può essere più un tabù, ma assolutamente normale. Poi cerco di prendere aiuto da chi mi è attorno: famiglia, amici, team. Per fortuna ho tante persone che mi vogliono bene».
Cosa la fa stare veramente bene?
«Una cena con i miei amici. Cose che durante l’anno non faccio spesso. Ho bisogno di rientrare in un’ottica di normalità: dimenticare il Matteo Berrettini tennista e diventare Matteo e basta, quello che parla con gli amici di quando si andava a scuola, delle bravate fatte da ragazzini. Cose che mi fanno riconnettere con la realtà. Ogni tanto, invece, ho bisogno di stare da solo. Nella mia solitudine ritrovo voglie, stimoli, le cose che mi nutrono».
Si nutre anche di libri?
«Al mio ritmo, quindi lento, sto leggendo “Rap”, di Paola Zuckar, la manager di Marracash, Fabri Fibra, Madame. Mi sembra molto interessante».
Quindi ascolta rap?
«Generalmente sì. Ultimamente sono stato al concerto di Marracash. Poi deep house, ma mischio molto: mentre ero a Napoli ho ascoltato Pino Daniele. Cambio parecchio, insomma».
A proposito di Napoli, con l’ascesa di Musetti si può parlare adesso di “Big 3” in Italia?
«Se li paragoniamo a quei tre che tutti conoscono no, ma in realtà siamo più di tre qui. E non siamo così lontani gli uni dagli altri. Sonego ha avuto un anno complicato ma era 20 del mondo. Fognini è sempre molto pericoloso e con Bolelli sta facendo una buonissima annata in doppio. La cosa più bella è che ci sia un sacco di gente che ci sta seguendo: poi che preferiscano me, Sinner, Musetti o gli altri non importa. È bello che seguano il tennis, diventato più “mainstream”. Una cosa molto bella ma allo stesso tempo pericolosa. Si rischia sempre il commento non costruttivo, ma da bar».
Si riferisce ai giudizi negativi ricevuti sui social dopo l’eliminazione a Firenze?
«Sui social ci sto, ma non tantissimo. Leggo, alcune volte sorrido, alcune volte ci rimango male. Più che altro mi sorprende la cattiveria. Mi chiedo come uno si possa sfogare così tanto su qualcuno. Mi inquieta la mancanza di sensibilità umana, come se noi fossimo delle macchine che devono fare solo quello: se falliamo siamo da rottamare e se vinciamo siamo da mettere su un piedistallo. Alla fine vado a dormire lo stesso e il giorno dopo sono tranquillo, ma mi dispiace che a volte il tennis venga visto così».
Parigi, le finali di Davis a Malaga e poi un viaggio?
«Sto parlando con i miei amici, siamo alla ricerca di una meta che metta d’accordo tutti. Vogliamo rilassarci, staccare i telefoni e stare tra di noi. Questo è l’obiettivo. Poi però so bene che la vita del tennista riserva sempre tante sorprese. Dovesse andare molto bene in Davis, ho la sensazione che di interviste ne dovremmo fare ancora tante. Sicuramente ci sarà un periodo di riposo, non troppo lungo, purtroppo, perché poi si riparte subito per l’Australia».
Quindi viaggia con gli amici?
«Sì, sì, sono single. Alcuni li conosco dal liceo, altri li ho incontrati grazie al tennis o in giro per il mondo. Poi mio fratello, che probabilmente è il mio miglior amico. Tutte persone che sarebbero qui con me anche se non fossi Berrettini ma soltanto Matteo».
Un collega tennista con cui farebbe un viaggio?
«Lorenzino Sonego. Dovrei portarmelo da qualche parte. Ci divertiremmo parecchio: lui ha il “flow”, io sono più organizzatore. Sarebbe la combo perfetta. Magari in Sudamerica: lui ha questa vena latina, gli piace ballare».