Coppa Davis, il campione e la squadra

Sostenere quanto sia un’Italia a trazione sinneriana è quasi banale: Olanda e Serbia eliminate grazie ai punti di Jannik, ma Arnaldi e Musetti non sono comparse
Paolo de Laurentiis 
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Neanche il tempo di capire in quanti sono stati capaci di battere due volte Djokovic nel giro di dodici giorni che Sinner toglie tutti dall’imbarazzo e lo batte pure nel doppio. Tre volte su quattro, come si dice in casi simili, fa curriculum. Per questo è anche normale vedere Nole - poverino - perdere un’altra volta la brocca e litigare con i tifosi quando capisce che la sua Davis sta prendendo la via dell’Italia. Gli azzurri tornano così a giocarsi la Coppa 25 anni dopo l’ultima volta (1998, vittoria della Svezia) e sognano - sì, possono - di alzare il trofeo vinto in una sola occasione nella nostra storia, nel 1976 contro il Cile, con “la squadra” di Panatta, Barazzutti, Bertolucci e Zugarelli. Sostenere quanto sia un’Italia a trazione sinneriana è quasi banale: in questa settimana di Malaga, l’Italia ha eliminato l’Olanda nei quarti e la Serbia in semifinale proprio grazie ai punti portati da Jannik, sia in singolare che in doppio (sempre con Sonego, bravissimo tra l’altro). Ma pensare che Arnaldi e Musetti, sconfitti nei rispettivi singolari, siano solo delle comparse vuol dire avere la memoria corta.   

Coppa Davis, l’inizio del sogno dell'Italia 

Bisogna invece tornare a settembre, perché è lì che nasce il sogno di oggi. Quando l’Italia gioca a Bologna il girone a quattro con Canada, Cile e Svezia senza il suo numero uno. La scelta più azzeccata del mondo - per chi mastica di sport - che ha permesso a Sinner di essere al massimo della forma alle Finals di Torino della settimana scorsa (battuto in finale solo da Djokovic) e in questi giorni di Coppa Davis. Qualificandosi per Malaga proprio con i punti di Arnaldi e Musetti, gli azzurri di Volandri hanno gettato le basi che vanno oltre la finale di oggi. Sappiamo che l’Italia che adesso sta impazzendo per Sinner non è un fuoco di paglia legato all’estro o allo stato di forma del suo giocatore più rappresentativo. È invece una squadra vera in attesa che oggi possa diventare, anche lei, “la squadra”. 


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