Ascari, l’ultimo Campione Antonelli, ritorno al futuro
I tifosi del calcio hanno già i dolori di stomaco da molto tempo, per le sofferenze ai mondiali della nostra nazionale, nel ciclismo del post-Nibali si gode assai meno di un tempo e nell’atletica le gioie arrivano a intermittenza. Il tennis con Sinner e l’Italvolley sono oasi mediamente felici, certo che sì. Ma, se ben guardiamo, il più terribile, devastante, immeritato, lancinante e deflagrante digiuno dello sport italiano, per quanto concerne una delle discipline maggiori a diffusione planetaria, è quello che riguarda il mondiale Piloti di F.1. Visto che sono passati settantadue anni dal titolo vinto da Alberto Ascari al volante della Ferrari 500, grazie al trionfo di tappa sul circuito svizzero del Bremgarten, nell’agosto 1953. In quel momento era passata più o meno una cinquantina d’anni dall’inizio delle competizioni automobilistiche e l’Italia era patria autorevole delle gare a motore e i piloti tricolori gli artisti indiscussi del volante. Con l’era Fiat garantita dagli epici Felice Nazzaro e Pietro Bordino, sulla cui scia s’era inserito Tazio Nuvolari, riconosciuto come il pilota più forte del mondo. Sfidato e corroborato da Achille Varzi e Luigi Fagioli, mentre l’Alfa Romeo era la Casa da corsa e di produzione più prestigiosa, vincente e sognata, con la Maserati che mica scherzava per niente, seguita da una selva di marchi italici. Insomma, eravamo la culla del ricamo sull’asfalto e non solo la patria dei santi del volante, dei poeti del banco di prova, dei navigati navigatori della realizzazione di bolidi vincenti, bellissimi e inimitabili. Spinte post risorgimentali, monarchia e fascismo, a turno, poco c’entravano. Semplicemente, eravamo i migliori, punto. In tutto, dall’ideare al costruire. Ma nella guida di più. Un po’ con spiegazioni di talento protoindustriale e preagonistico, un po’ per pura fortuna genetica, perché vedere nascere tanti e tali campioni tutti nella stressa penisola, mentre l’universo mondo s’affanna a produrne di più bravi in tutta la prima parte del secolo breve, è anche una mezza botta di fortuna.
