In Arabia super pagati per smettere

Leggi il commento sul destino dei tanti calciatori che decidono di approdare nella Saudi League
In Arabia super pagati per smettere
Alessandro F. Giudice
4 min

L’ irruzione dei petrodollari arabi nel calcio può leggersi anche dal punto di osservazione del mercato, alle cui leggi immutabili essa provoca distorsioni evidenti. In un sistema economico competitivo, la remunerazione assegnata dal mercato alla prestazione di un servizio riflette il valore che questo produce per chi lo acquista. Oggi, invece, l’apertura del mercato ai fondi sovrani sauditi regala alle prestazioni dei calciatori stipendi assurdamente maggiori del ritorno diretto da esse generabile per i loro acquirenti. Nel calcio europeo, i campioni sono pagati milioni perché le loro esibizioni sul prato verde concorrono a generare ricavi chiari, diretti e misurabili sotto forma di diritti tv, incassi da stadio, sponsor. Anzi, delle risorse prodotte dal sistema-calcio la fetta che oggi confluisce nelle tasche di calciatori e procuratori è già largamente superiore alla parte che va a remunerare il rischio d’impresa. Tanto che, come si osserva spesso, i calciatori sono ricchi mentre i club che li pagano sono quasi tutti in perdita. Un altro aspetto del problema sono i calciatori che palesemente rinunciano a fare ciò per cui svolgono la professione - giocare a calcio - preferendo incassare stipendi che sarebbe impossibile ottenere in un sistema competitivo. Pensiamo tra molti a Milinkovic, Brozovic, Kante, Koulibaly.

Il precedente di Insigne e Bernardeschi

Prima di loro, ad altre longitudini, Insigne e Bernardeschi scelsero di non competere più, lasciando un campionato serio come la Serie A in cambio di cospicue vagonate di dollari (canadesi) che la negoziazione coi rispettivi club non era in grado di garantire. E non parliamo, quasi più, esclusivamente di giocatori a fine carriera ma di atleti ancora capaci di riempire gli stadi e competere da primattori in squadre di rango. Tanti hanno già fatto questa scelta, altri ci stanno pensando: in queste ore Lukaku, Immobile, Morata (tra gli altri) meditano se smettere di giocare ad alto livello per garantirsi una pensione più che dorata. Mentre alcuni di loro, come Ronaldo o Benzema, avevano già accumulato successi (personali e di squadra) altri rinunciano, forse per sempre, a lottare per ciò che uno sportivo dovrebbe perseguire: il successo sul campo. Già, perché alcuni dei calciatori con le valigie pronte per il medio oriente, in carriera hanno vinto poco o nulla. Dunque rinunceranno a farlo, forse, per sempre. È una fuga dal mercato provocata dalla distorsione dei valori economici.

Le regole economiche

In economia, un’azienda decide di sostenere un costo per acquistare un bene o un servizio (in questo caso, le prestazioni dei calciatori) se il valore di mercato di una unità addizionale di quel costo, ad esempio l’acquisto dell’ennesimo calciatore, ne supera il costo. Per gli economisti, questa è la legge dell’uguaglianza tra costo marginale e ricavo marginale che regola la produzione. Se irrompe un fattore esterno a disturbare questa legge, alterando i calcoli di produttività, tutto il sistema ne viene falsato. Nel caso degli arabi, le prestazioni di Ronaldo & co. non potranno rispettare questa regola economica perché il beneficio, cioè il valore di diritti tv, incassi e sponsor non è oggi lontanamente paragonabile ai costi ingenti sostenuti dai club sauditi. Qualcuno dirà che il beneficio sarà misurabile negli anni per l’intero movimento, se lo sbarco di tanti campioni ne favorirà la crescita, ma questo è il ragionamento di un’economia dirigista che dovrà, in ogni caso, confrontarsi col mercato. Intanto, del danno che può arrecare al nostro sistema qualcuno dovrà cominciare a preoccuparsi.


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