Roma, perché il trionfo della femminile non ha a che fare solo con il calcio

Le giallorosse dopo lo scudetto portano a casa anche la Coppa Italia: analisi di un successo che parte da lontano
Roma, perché il trionfo della femminile non ha a che fare solo con il calcio© Getty Images
Chiara Zucchelli
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Prima il piatto simbolo della vittoria dello scudetto, poi la Coppa Italia. Vedere il capitano della Roma Femminile Elisa Bartoli alzare al cielo due trofei in sei giorni non può essere considerata una novità, né una casualtà. Quella della Roma non è solo la vittoria di una squadra di calcio: è la vittoria di una società che dal 2018 - anno dell'istituzione della sezione femminile - ha fatto un passo alla volta, senza mai andare oltre la gamba e rivoluzionare la rosa, anzi aggiungendo estate dopo estate, gennaio dopo gennaio, solo tasselli funzionali. I famosi "innesti giusti" e non giocatrici "prese tanto per prenderle". L'idea,  va riconosciuto, è stata del presidente Pallotta e dell'allora vice presidente Mauro Baldissoni, Guido Fienga ha mantenuto la continuità, gli investimenti e le strutture messe a disposizione dai Friedkin sono state la ciliegina sulla torta. Una torta in cui uomini e donne hanno pari dignità: arriverà il giorno, si spera presto, in cui questa non sarà più una notizia e non ci sarà bisogno di ribadirlo, scriverlo o sottolinearlo, ma visto che nei mesi scorsi la Roma, tra le altre cose, è stata accusata di essere una società sessista, va ribadito che a Trigoria i calciatori e le calciatrici hanno gli stessi diritti e doveri. Aspettando che un giorno abbiano anche gli stessi stipendi (in tutto il mondo, ovviamente), va evidenziato come la Ceo, Lina Souloukou, era in prima fila a rendere merito alle campionesse d'Italia al Tre Fontane. E va sottolineato anche come la festa scudetto sia stata fatta al Bernardini, il cuore della società, e non al Giulio Onesti, dove la femminile si allena. Perché la Roma è una.

Roma femminile, i perché di un successo giusto

In sei anni ha cambiato una sola volta la guida tecnica, ma senza motivazioni di risultati: Betty Bavagnoli, che tre anni fa era l'allenatrice nel giorno del primo trofeo (era una Coppa Italia, la finale si giocò in Emilia-Romagna, a Reggio Emilia, ieri Cesena, e si decise sempre ai rigori...) è diventata la responsabile di tutta la sezione femminile, con il torinese Alessandro Spugna che dopo due scudetti e una Supercoppa completa il suo personale triplete, e quello della società, che oltre ai successi con la prima squadra ha vinto quattro volte di fila lo scudetto Primavera. Il vertice e la base, e poco importa che quest'anno la corsa si sia fermata in semifinale contro il Milan. Vittoria in campo, vittoria fuori: perché la Roma femminile, dall'avere poche centinaia di spettatori nelle partite interne di campionato (big match esclusi) è arrivata a costruirsi un pubblico fidelizzato, che ogni settimana dà la caccia al posto in tribuna o, nel caso di ieri, di venerdì alle 21.30 (orario scelto per garantire la trasmissione della finale in prima serata su un canale generalista come Rai 2) si carica 700 chilometri tra andata e ritorno sulle spalle per arrivare a Cesena e colorare di giallorosso il settore dei Distinti riservato. Molti di quelli che erano ieri a Cesena, erano anche per la Champions a Monaco, a Parigi, ad Amsterdam e lo scorso anno a Barcellona, avversario contro cui la Roma è entrata forse definitivamente in una nuova dimensione, conquistandosi l'Olimpico e giocando davanti a 40mila persone. Scettici compresi.  La Roma la finale di Cesena l'ha vinta cinque giorni dopo la festa scudetto, ma Spugna ha trovato (giustamente) il modo di non essere soddisfatto: non certo del risultato, ma della prestazione. Perché se la serata è finita con la musica di 'Grazie Roma' dagli altoparlanti e con le romaniste in Nazionale a cantare "Ce ne andiamo in Norvegia" (venerdì 31 a Oslo c'è una partita importantissima nel cammino di qualificazione all'Europeo 2025), c'è da dire che era iniziata malissimo, con l'errore di Ceasar che ha regalato il vantaggio a Hammarlund e con una Fiorentina avanti 3-1 a un quarto d'ora dalla fine dei tempi regolamentari. Poi, però, sono arrivati il 3-2 della giapponese Minami e il 3-3 al 90' della canadese Viens, dopo che Giacinti aveva pareggiato nel primo tempo il vantaggio della squadra di De La Fuente. Elemento comune dei tre gol della Roma, gli altrettanti assist di Manuela Giugliano: il numero 10 di Totti, la maschera di Dybala, piedi superiori, come le mani di Camelia Ceasar, che quando c'è da parare i rigori già sa che tutto finirà con la Roma sul palco e con la coppa in mano.


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