Con un guizzo dei suoi, quelli che all’Europeo non si sono quasi mai visti, Federico Chiesa il 15 maggio ha tentato una fuga in avanti. Sarà stata l’euforia della Coppa Italia appena vinta all’Olimpico, o la sensazione che da lì a breve sarebbe decollato un nuovo progetto tecnico, ma Fede con un gran sorriso disse: «Io voglio rimanere in questa grande società, voglio riportare il club dove merita». Le sue intenzioni sono ancora lì, servite sul vassoio di Giuntoli, eppure la trattativa per il rinnovo non ha mai decollato perché sono mancate - e mancano tuttora - le condizioni basilari per proseguire il matrimonio: un’intesa di massima sulle cifre e una fiducia pressoché totale da parte dell’allenatore. A proposito di nozze: Fede il 20 luglio dirà “sì” alla sua Lucia e fino a quella data vorrebbe concentrarsi solo sul lieto evento. Assolutamente legittimo, anche se questa volontà di temporeggiare e concentrarsi su altri pensieri (prima la Nazionale, ora la cerimonia) potrebbe avergli fatto perdere il treno per Roma. In qualsiasi caso, non sono trascorsi neppure due mesi da quella dichiarazione d’amore verso i colori bianconeri e invece sembra passata un’era.
Juve, Chiesa rischia di finire ai margini del progetto
Oggi Chiesa rischia di finire ai margini del progetto Juve. Impensabile riavvolgendo il nastro a quattro anni fa, quando arrivò a Torino da superstar e come ennesimo acquisto di lusso effettuato nella bottega di Firenze. Chi si aspettava un atto di Fede è rimasto sostanzialmente deluso. Il calciatore, sul quale la Juve ha investito 60 milioni tra prestito oneroso biennale, obbligo di riscatto legato a determinati obiettivi e ulteriori bonus, guadagna circa 10 milioni lordi e ha sempre chiesto un rinnovo oltre il 2025 a cifre più alte; cioè tra i 6 e i 6,5 milioni netti (12-13 lordi), una proposta che alla Continassa considerano fuori dal budget e soprattutto fuori dai tempi. Con la nuova governance, ispirata dalle scelte di Elkann e presa per mano dall’uomo dei conti Scanavino, è cambiata infatti la musica: la proprietà ha chiesto un netto ridimensionamento del monte ingaggi, al quale non dovrà per forza di cose corrispondere un abbassamento dell’asticella delle ambizioni. A Torino vogliono spendere meno ma spendere meglio, insomma.