Ciro Immobile, la nuova primavera

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Alessandro Barbano
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Se questa fosse la nuova primavera di Ciro, varrebbe più degli stessi ottavi di Champions, raggiunti ieri dopo il due a zero sul Celtic e la vittoria dell’Atletico Madrid con il Feyenoord a Rotterdam. Perché un attaccante da duecento gol, che torna a rivedere la porta come un bambino guarda la mamma, è un capitale prezioso per una Lazio che nelle ultime tre gare in campionato ha preso un punto e segnato un solo gol su rigore. E che, grazie al suo capitano, agguanta con le unghie una qualificazione preziosa quanto la speranza di salvare la stagione. Immobile non siglava una doppietta dal 19 febbraio scorso a Salerno. In questo lunghissimo tempo di convalescenza la sua vena di realizzatore sembrava essersi esaurita. Ieri Ciro ha dimostrato che non è vero. Perché i due gol messi a segno non sono casuali, ma frutto del tempismo e dell’astuzia che hanno reso storico il suo repertorio di colpi da cannoniere. Vuol dire che alle soglie dei trentaquattro anni è possibile ritrovare la condizione agonistica e mentale del trascinatore. Un segnale importante nel momento più difficile. Con una Lazio che sembra aver smarrito la maestà del palleggio e la velocità degli scambi che per anni, e nella stessa era sarriana, sono stati il suo elemento identitario.

Mai come ieri, di fronte a un non irresistibile centrocampo scozzese, l’ombra di Milinkovic si è appalesata per tutto il secondo tempo come un’insostenibile nostalgia. Poiché, al netto della discreta prestazione di Guendouzi, la mediana biancoceleste continua a essere lenta e prevedibile, subordinata com’è alla solitudine di Luis Alberto, a cui non si può chiedere la regia, l’ispirazione, il pressing e la capacità realizzativa che altrove non si vedono. In queste condizioni l’assenza simultanea di Vecino e Zaccagni, l’appannamento di Felipe Anderson, la buona volontà di Isaksen e l’immaturità di Rovella non fanno insieme un reparto attrezzato per competere in campionato e in Champions. La vittoria contro il Celtic, che vale gli ottavi in Europa, rialza l’umore, che è termometro delle emozioni, ma non la fiducia, che è virtù della ragione. Ed è già tanto, dopo l’ultimo scivolone di Salerno. Ma nessuno può realisticamente pensare che questa rosa possa fare il gioco di Sarri e interpretarlo al meglio. C’è un deficit strutturale che pesa sull’intera stagione e sarebbe il caso di prenderne atto e farsene una ragione, invece di accendere tensioni e conflitti che dallo spogliatoio inevitabilmente si proiettano in campo.

Almeno fino alla riapertura del mercato varrebbe la pena di stringere i denti e spingere la Lazio più avanti possibile con i ridotti mezzi di cui si dispone. La qualificazione è in queste condizioni un risultato che sopravanza le realistiche attese e offre al tecnico e alla squadra una boccata d’ossigeno. In attesa di recuperare il contributo di pedine preziose. È una Lazio fragile, che può accendersi con la fantasia di Zaccagni, l’ispirazione di Felipe Anderson, la guida di Luis Alberto e la velocità di Lazzari, ma basta che una di queste risorse venga meno e l’equilibrio complessivo vacilla. Un puntello lo ha messo ieri il grande capitano biancoceleste, ricordando a tutti che anche quando gira male, lui è in grado di risolvere i guai con due zampate da fuoriclasse. E ancora una volta non resta che dire: "Grazie, Ciro".


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