Italia, il coraggio di cambiare

Italia, il coraggio di cambiare© ANSA
Alessandro Barbano
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Siamo i migliori del girone, ma non siamo in condizione. Se Jorginho avesse segnato il rigore, avremmo potuto ignorare questa evidenza. E chissà se sarebbe stato meglio, dovendo giocare, e rischiando di perdere, contro i vigorosi celtici. La Svizzera, battendo la Bulgaria, avrebbe comunque potuto superarci nella differenza reti. Adesso abbiamo davanti agli occhi la cruda realtà: bisogna cambiare uomini, non si vince in Irlanda del Nord con questa squadra. Te lo dice il secondo tempo, quando pure chiudiamo gli elvetici nella loro metà campo, controlliamo il gioco, senza esserne mai padroni. Poche verticalizzazioni, nessun affondo sull’uno contro uno, con cui pure si dovrebbe aprire una breccia nella ragnatela di un tecnico irritante ma bravo, come Yakin. Belotti è un convalescente non ancora guarito, Barella e Locatelli vagolano smarriti e senza desiderio, Emerson e Di Lorenzo sono due esterni senza spine, lo stesso Insigne si barcamena con la sua tecnica e inventa qualche giocata, ma il più delle volte è costretto a tornare indietro, Chiesa riceve poche palle giocabili, e quasi mai in zona tiro. I rincalzi portano una ventata di fresco, e lasciano sperare. Perché lunedì non si potrà fare a meno di Berardi e di Tonali, e forse anche di Calabria. Non basta l’anzianità di servizio, l’affiatamento, perfino l’esperienza, se mancano le gambe; se a centrocampo perdi più anticipi di quanti ne guadagni; se il tempo per disfarsi della palla ricevuta ha sempre una tara in più che consente agli avversari di posizionarsi; se non ti riesce un solo cambio gioco, perché pensato e messo in atto sempre in ritardo; se psicologicamente ti fai sormontare da un avversario che ti dà la percezione dell’impenetrabilità, e rinunci a cercare triangolazioni verticali anche quando potresti e dovresti farlo. Il possesso palla così finisce per essere un falso statistico, e una vanagloria. Meglio essere spietati oggi, che nasconderci la realtà e piangere domani. Siamo andati in gol con un trucco da «Amici miei», una punizione fintata e battuta due volte, che ha fatto partire l’uscita del bravo Sommer con un decimo di secondo di ritardo. Un colpo da maestro sul tavolo di poker, poiché il calcio è anche questo. Ma non solo questo. Un piatto si vince e un piatto si perde. Fai gol col trucco e poi ti mangi un rigore calciandolo come un bluff poco convincente. Non era un tiro di collo e neanche un tiro di piatto, ma una via di mezzo, per non rischiare troppo con la forza, e piazzare il colpo. La paura di sbagliare dagli undici metri ti tradisce sempre: il corpo non ti segue, tu avanzi e lui arretra, quando sei sulla palla hai perduto la giusta perpendicolare. In quell’angolo ottuso tra Jorginho e il prato dell’area di rigore, c’è la prova di una condizione mentale inadatta. Si dirà che un tiro così pesante avrebbe potuto piegare chiunque. Ma talvolta la basica cassetta degli attrezzi di un terzino funziona meglio di quella sofisticata di un regista. A posteriori qualunque ragionamento è giusto e sbagliato allo stesso tempo. Resta il fatto che l’Italia che punta al Mondiale non può vincere con la Svizzera su rigore al novantesimo, soffrendo per ottantanove minuti. Perché questa percezione di disagio, di smarrimento e talvolta di angoscia è stata la cifra degli azzurri per tutta la gara. Ci sono tre giorni per rifare la strategia. E qui si vede se il proverbiale coraggio di Mancini non ha subìto l’usura del successo. Vincere a Belfast vuol dire osare e mettere in discussione una gerarchia che la mediocre prova dell’Olimpico ha già smentito. Cambiare per credere, e tornare a combattere, prima che sia troppo tardi.


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