La Juve Superlegata, Mazzoleni e la caviglia di Ribery

La Juve Superlegata, Mazzoleni e la caviglia di Ribery© LaPresse
Ivan Zazzaroni
6 min

Pirlo è fuori. La sua Juve è temporaneamente ai margini della Champions di Ceferin, che peraltro non ama più. Il timore (l’incubo) del fallimento sportivo, oltre che di quello economico e politico (Superlega e derivati), a questo punto è fondatissimo: Sassuolo, Inter e Bologna le partite alle quali chiede di rientrare dalla porta di servizio. Troppo normalizzata, questa Juve, che anche a Udine aveva mostrato fragilità e svuotamenti, e periferico Ronaldo, e colpevolmente disinnescato Dybala, per oltre 75 minuti in panchina nonostante la squadra stesse denunciando limiti di qualità, assenza di fantasia e pericolosità. La sfida ha premiato il miglior Pioli della stagione, lucido nel puntare su Brahim Diaz dal primo minuto (il migliore in campo: scelta stravincente) e nel concedere poco o nulla agli avversari: Bentancur aveva invertito gli scarpini, McKennie e Rabiot sono stati sovrastati da Kessie, Bennacer, Hernandez e Calhanoglu.

Allo Stadium era presente Jaki Elkann, per certificare la solidità di un rapporto tacitamente complice col cugino Andrea in un momento per lui complicato: l’unico grammo di juventinità della serata.

Un Mazzoleni così

A cinque minuti dalla fine ti ritrovi sotto di un gol, in casa, contro una diretta concorrente nella corsa-salvezza. L’arbitro, perfettamente piazzato (non è un dettaglio), concede un rigore a tuo favore: rivedi la luce. Non si manifesta il “chiaro ed evidente errore”, ciononostante il Var richiama il direttore di gara che, viste le immagini al video, torna sulla propria decisione. Rigore (che c’era) negato: risprofondi all’inferno. Non essendo un monaco tibetano, né un esponente del Satyagraha, ma il presidente di una società nella quale butti milioni, energie e tempo, ti incazzi come una biscia. A caldo, sottolineate le colpe della tua squadra per il pessimo girone di ritorno, denunci (non vuoi che si parli di sfogo): «Non ho mai parlato di arbitri, ma mi sono arrivati messaggi da Napoli, e tutti hanno scritto che Mazzoleni è messo lì per ammazzare le squadre del Sud» l’invettiva di Oreste Vigorito. «Noi stiamo perdendo un anno di sacrifici, mentre lui sta col culo sulla panchina a guardare la tv e cambiare le decisioni. È una vergogna».

Sospetto che da qui a fine stagione Paolo Silvio Mazzoleni le partite le seguirà in tv, da casa. Sono tuttavia convinto che l’accusa di Vigorito sia territorialmente infondata: Mazzoleni, che smise di arbitrare due anni fa, era scarso (opinione personale) ma sostenere che ce l’abbia con le squadre del Sud e venga impiegato per ammazzarle, una sorta di “meridional killer”, è ingiusto e pericoloso. Mazzoleni non avrebbe dovuto richiamare Doveri, mancavano i presupposti regolamentari - protocollo 20-21 - e la scusa del contatto minimo è ridicola. Così come Vigorito avrebbe dovuto accontentarsi (si fa per dire) dell’ingiustizia patita per sé e la squadra, non per il Sud Italia. Isole comprese. I messaggi che arrivano da Napoli sono frutto di un rancore consolidato negli anni (Pechino, 11 agosto 2012). Vigorito non ha bisogno di ispiratori o suggeritori, ha l’elevatezza del protagonista degno del massimo rispetto e con la facoltà di protestare. La linea “sudista” può solo danneggiarlo. Poteva dire - senza essere querelato - che forse Mazzoleni è scarso perfino al Var. E andrebbe messo a riposo. Per questo, se fossi in Gravina, approfondirei il “caso Vigorito”. Se non altro per confermare o rivedere le rassicurazioni fornite a suo tempo da Tavecchio, Nicchi e Rizzoli: «Col Var, niente più risse».

FR7, anche la caviglia è viola

«Grande partita ieri, sono contento, ho sempre dato il massimo per la Fiorentina». Ogni tanto scambio dei messaggi con Franck Ribery: una simpatia nata da un’intervista che ha molto gradito - erano i primi giorni fiorentini. Da allora il suo italiano è decisamente migliorato: il suo calcio è sempre stato di categoria superiore.

L’ultimo FR7 mi ha conquistato con un’esemplare interpretazione del ruolo del leader, dell’uomo-squadra: i compagni l’adorano e l’apprezzamento della società è cosa nota. Nel peggior momento della Fiorentina, mi scrisse: «Non è facile, ma teniamo duro, farò del mio meglio per questa squadra e questa città che amo molto». Sabato sera con la Lazio Franck è stato fantastico: giocate preziose e decisiva la protezione della palla che gli è costata sei interventi duri da parte degli avversari. Una prestazione che ha indotto Wahiba, la moglie, a scrivere su Instagram. Testuale: «Ma mio Dio che non vuole un @ franckribery7 nella sua squadra di 38 anni ha le gambe di un guerriero di 30 anni, sono ancora ammirevole per la tua professionalità e la tua determinazione che meriti di vederti per qualche anno sul campo. Ti amo habibi».

Ripetiamo spesso che il nostro non è un calcio per giovani, ci fustighiamo ricordando che la serie A è diventata un cimitero degli elefanti. Ma quando campioni più vicini ai quaranta che ai trenta vengono in Italia per sottolineare ripetutamente la differenza tra gioco del calcio e gioco del pallone, abbiamo il dovere di riconoscerne la grandezza e l’utilità.
PS. Allego foto della caviglia scattata da Franck. Viola, per coerenza 


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