Kvaratskhelia e Di Maria, gli schemi e le eresie

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Roberto Beccantini
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Nel giorno in cui ci si raccoglie a Firenze per ricordare Mario Sconcerti, direttore tecnico ad honorem, corre, la memoria, a bocconi di calcio non proprio banali, non proprio ancestrali. Episodi, recenti e croccanti, che ne hanno cementato la popolarità universale e rigato, senza demolirne lo spirito, la carne dei dogmi scolpiti sulla roccia del pensiero unico. Se riformare il futuro è complicato, come documenta l’improvviso e improvvido ritorno dei gol fantasma in Fiorentina-Sporting Braga di Conference League a onta degli argini tecnologici innalzati, riformare il passato lo è ancora di più.

Tra campionato e Champions, un ribollir dei tini

Tra campionato e Champions è stato tutto un ribollir di tini. L’Europa dell’eccellenza ci ha offerto, a imperituro monito, le papere non già di due portieri qualsiasi, ma addirittura di due professori del ruolo: Thibaut Courtois del Real Madrid e Alisson Becker del Liverpool. Mutatis mutandis, come se a un paio di inviati di punta, apprezzati da legioni di lettori, fosse scappato cuore con la q. Eppure stiamo parlando, vale la pena ribadirlo, delle cattedre più ambiziose e più ambite. Nel Novecento, per i portieri, i piedi erano necessari: oggi sono obbligatori. Le regole sono diventate manette. E se non sei svelto, e reattivo e creativo, i borseggiatori ti fregano il tempo, specialmente se capiti nei vicoli bui di Mohamed Salah o Vinicius junior.

Il rovescio della medaglia

C’è poi il rovescio della medaglia, un rovescio che ci porta là dove i pulpiti di Coverciano o i bar di Fusignano non possono arrivare, terrorizzati che qualcuno o qualcosa ne sostituisca l’egemonia didattica. La prodezza. Il colpo del singolo. Lo slalom verticale di Khvicha Kvaratskhelia a Reggio Emilia, contro il Sassuolo. La parabola e i dribbling di Angel Di Maria a Nantes. Eresie così selvagge da rendere perfettamente blasfemo e inutile un eventuale esame di Dna tattico.

Libertà è partecipazione

Si narra che, ai suoi bei dì laziali, Zdenek Zeman avesse bacchettato Alen Boksic per lo «sgarbo» di una rete segnata al di fuori dello spartito. «Ti sei preso una bella responsabilità», dicono che (il boemo) gli disse. In base alla proprietà transitiva delle lavagne, Kvara avrebbe dovuto procedere «a triangolo», e non buttarsi dentro come un kamikaze a Pearl Harbor. E il Fideo, lui, mai nella vita avrebbe dovuto mirare da quelle zolle, da quello spigolo. Domata la palla di Nicolò Fagioli, i sacri testi imponevano uno sguardo dal ponte e un tocco laterale; non certo una pennellata del genere, degna di un Picasso infoiato. Gli schemi, gli schemi: servono, a patto di non abusarne. Massimiliano Allegri li lascia, volentieri, a Lele Adani. Ci sentiamo tutti più liberi, dopo la rivolta del georgiano e dell’argentino. Ma la libertà è partecipazione. E allora? Zampilla, il dibattito, tra i versi di Giorgio Gaber e le Tammurriate napoletane di Luciano Spalletti. Se solo potesse, Arrigo Sacchi abolirebbe il lancio lungo. Che però, nelle circostanze più scabrose, aiuta a tirare a campare: e in altre, più eleganti, semplicemente a tirare. «Lo ripeto sempre - ha scritto Giancarlo Dotto - Ci vorrebbero gli addetti ai capolavori, invece che gli addetti ai lavori».


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