Il campionato orfano di un leader

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Il campionato orfano di un leader© ANSA
Roberto Beccantini
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Parte, sabato, il primo campionato “arabo” della nostra storia. Arabo, perché ostaggio dei “salari minimi” che crepitano fra Riyad e Gedda. La lunga vigilia è stata scandita da ricorrenze ed episodi non proprio marginali. Il ritiro di Gigi Buffon, a 45 anni suonati. Le dimissioni di Roberto Mancini: altro che clamoroso al Cibali, clamorosissimo. Le scomparse di Luisito Suarez e Trevor Francis. La morte di Michela Murgia, donna che, in vita, preferì sempre il potere della voce alla voce del potere. 

Venerdì, inoltre, Gianni Rivera ne compirà 80. Per la cronaca, il 18 agosto 1943 nacque anche Roberto Rosato, stopper dalla faccia d’angelo e gli speroni del diavolo. Non capitano spesso ingorghi del genere, ma capitano. Il 25 maggio 1953 venivano alla luce niente meno che Gaetano Scirea a Cernusco sul Naviglio, Italia, e Daniel Passarella a Chacabuco, Argentina. A parità di ruolo (battitori liberi), non si ricordano interpreti così diversi, così lontani. Gai, un signore; Daniel, un caudillo. 

Ci manca, “un” Rivera. Come pietra di paragone, soprattutto. Dall’epoca dei Beatles e i Rolling Stones, i confronti sono il sale dello sport. Lo spremono. Lo agitano. L’Abatino breriano fu confine fragoroso e litigioso sul piano tattico, e lo fu dal cuore del fronte, là dove si forgiavano i destini della patria pedatoria, non già dalle cantine del mercato - abbasso Romelu Lukaku, evviva Dusan Vlahovic; o viceversa - là dove si rammendano le tirature. 

Bambino ad Alessandria, Rivera simpatizzava per la Juventus. Quando Gipo Viani lo assunse al Milan, non s’inventò rossonero. Lo diventò. Oggi, in compenso, c’è la corsa a dirsi spasimanti, sin dalla culla, della “nuova” squadra. Oppure, variante sul tema, si sgomita per millantare carichi di lavoro superiori, in qualità e quantità, alle sedute del vecchio staff. Se mi è sfuggito un bastian contrario, chiedo umilmente venia. La tendenza, però, è quella. 

Su “La Stampa” del 26 luglio si faceva l’elogio - o comunque si promuoveva la riabilitazione - dell’ipocrisia. «Nell’era digitale che ha fatto della brutale verità un valore assoluto, un orgoglio, un comportamento socialmente etico - scrive Bruno Ventavoli - ribadire che le differenze esistono e che talvolta sarebbe meglio ammorbidirle con un po’ d’ipocrisia è doveroso». Addirittura. Il rango di capo-delegazione garantito a Buffon ha smosso fior di Torquemada per lo strascico di antiche e volgari pendenze, dal boia-chi-molla al diploma comprato, dalle bestemmie alle scommesse. In base alla proprietà transitiva delle burrasche “fuori campo”, i fedeli che continuano a venerare Diego dovrebbero offrire il petto all’ennesimo plotone di esecuzione senza insorgere. Invece si ribellano, e fanno pure bene

Gianluca Vialli era “dopato” fino alla catarsi azzurra. Lele Oriali ha slalomeggiato tra il passaporto di Alvaro Recoba e le funzioni di team manager (dell’Inter e della Nazionale, ora solo della Nazionale). L’ipocrita è il lenzuolo del fantasma e il tifoso l’armadio che lo veglia. Buon calcio a tutti


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