I nemici della felicità

Leggi il commento sulla situazione legata allo stadio della Fiorentina
I nemici della felicità© LAPRESSE
Marco Evangelisti
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Farci del male non ci basta più. Vogliamo anche la lode. Con bacio accademico e applauso social. Storie di stadio dall’ordinaria surrealtà. Persino la Juventus, che conosceva bene i suoi polli e sapeva spennarli con classe, dall’ideazione all’inaugurazione ha impiegato diciassette anni a costruirsi il proprio impianto. Nel frattempo abbiamo attraversato diverse vicende esemplari, da Nord a Sud alle Isole, con il picco del progetto Tor di Valle a Roma, fermato di volta in volta dalle peculiarità paesaggistiche, dalle rivalità ideologiche, dal traffico, dalle elezioni, dai cieli imbronciati, dalle rane in via d’estinzione. 

Tutela

E adesso eccoci a Firenze, in particolare alla ristrutturazione dell’Artemio Franchi, perla architettonica su cui ha posto mano tra gli altri Pier Luigi Nervi. Per questo e non solo per questo opera più che meritevole di attenzione e cura, custodia e salvezza. In mezzo alla possibile castrazione delle ambizioni calcistiche della Fiorentina e alla frustrazione dei piani gestionali di Commisso ci sarebbe anche quell’aspetto da considerare: la tutela di un monumento nazionale artistico, sportivo, storico. Nell’epoca peraltro di un governo che dalla protezione dei valori tradizionali, qualsiasi cosa significhi, sostiene di farsi ispirare. Dicono: è l’Unione Europea a metter becco sulla questione. Vero, e ci mancherebbe altro. Da Bruxelles chiedono chiarimenti sulla destinazione dei fondi assegnati per il rilancio delle economie logorate dalle recenti catastrofi naturali e umane.

Problema oggettivo

È un problema oggettivo che andrebbe affrontato con un minimo di determinazione e un massimo di chiarezza da parte delle nostre istituzioni. Allora stiamo freschi, perché è proprio lì che i problemi s’impastano e si solidificano. Nella litigiosità della politica, nella ricerca di pretesti per non fare quando se ne occupano gli altri e di scuse per non aver fatto quando agire spetterebbe a noi. Nella riduzione delle scelte amministrative a propaganda. Soprattutto nell’atteggiamento metà snob e metà popolaresco di chi (per esempio Renzi in polemica con l’ex alleato Nardella) butta lì cose del tipo: con quei soldi facciamo case e scuole. Come se uno stadio bello e moderno non rientrasse nella categoria del necessario. Come se il calcio fosse qualcosa di cui vergognarsi e lo sport una macchia da nascondere sotto un tappeto.

Pregiudizio culturale

Non è colpa di questo o di quest’altro, di un’ideologia o di una dottrina. Piuttosto di un pregiudizio culturale che nega la felicità, esalta i sensi di colpa e costringe a guardarsi intorno prima di sorridere. Lo abbiamo sperimentato scompostamente durante il periodo buio della pandemia, quando per esempio giocare a calcio era vietato e parlarne sembrava di cattivo gusto e a correre in spiaggia rischiavi di essere braccato da un drone e additato alla pubblica ostilità. A parer nostro uno stadio ben fatto è degno di approvazione, qualcosa da usare senza timori e da vivere senza intralci. Ah, in Islanda per contrastare l’alcolismo giovanile hanno pensato di realizzare campi di calcio vicino a bar e locali. Da noi a qualcuno sarebbe sembrato meglio chiudere i bar. 

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