Inter, Simone Inzaghi e le visioni

Leggi il commento sull’allenatore che occupa il primo posto in classifica nel massimo campionato
Roberto Beccantini
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Era il 24 ottobre del 2023 - e, dunque, non esattamente un secolo fa - quando l’Inter di Simone Inzaghi superava per 2-1 il Salisburgo nella fase a gironi di Champions e Arrigo Sacchi, di e da Fusignano, bacchettava mister Spiaze: «Affrontavano una squadra composta in prevalenza da giovanotti del Duemila, eppure hanno sofferto e soffriranno anche in Austria (vero: “solo” 1-0, rigore di Lautaro Martinez)». Perché? Semplice: «Bravi sul piano tecnico, tosti a livello atletico, ma vi raccomando il tipo di calcio. Approssimativo, conservativo, tirchio». E occhio al carico da undici: «Spesso, giocano per conto loro». Non pago, affondò il bisturi: «Pressing, zero. Conclusa l’azione, rientrano in gregge e fanno massa al limite dell’area». Ergo: «Rincula oggi, rincula domani, ci si porta il nemico in casa». E al termine dell’arringa, la sentenza: «L’Inter coltiva ancora una filosofia che non è completa, che non è moderna». Come direbbero a Bologna: socmel! 

Inter, la risposta di Inzaghi

Inzaghino si rintanò dietro le trincee del politically correct, e parlò di «visioni diverse». Nel frattempo, a coppe in letargo, la capolista cambiò marcia e impose distacchi umilianti alla concorrenza. Tanto che, nelle redazioni, cominciarono a frignare i paragoni. All’inizio, di 4-0 in 4-0, con il garbo e la discrezione dei saggi; poi, di scorta in scorta, con i supplizi che i Robespierre del web infliggono alle “suorine” del tifo. In attesa del verdetto, il Vate non poteva non tornare sul luogo del diletto. L’ha fatto di recente, a febbraio, dalle colonne della Rosea: «Simone è un gran bravo ragazzo. Molto educato, molto rispettoso. E adesso finalmente europeo, miglioratissimo in un mucchio di dettagli. Lo ricordo tattico, abile a cavalcare gli errori degli avversari, e me lo ritrovo stratega. E i suoi, ogni volta che segnano, non si chiudono più a chiave, a protezione del gruzzolo, ma cercano altri gol, nuove emozioni». Tirando le somme: «L’obiettivo non è più speculare: è dominare». Da Bologna, sempre: ari-socmel! 

L'arrivo a Milano

Chi sia stato - se Inzaghi a camuffarsi, pur di non darla vinta a Sacchi, o Arrigo a forzargli il passo estremo - non tocca il nocciolo della riflessione. Le gloriose ceneri di Istanbul, e qui siamo tutti d’accordo, hanno trasfigurato l’Inter. Certo, i nodi e gli snodi della vita stuzzicano il destino. Cosa sarebbe successo se, nel 2021, Massimiliano Allegri avesse ceduto alle coccole di Beppe Marotta? L’ennesimo strappo di Antonio Conte, fresco di scudetto, aveva scombussolato i programmi dell’Inter. Serviva un tutore di polso: e al volo. Marotta contattò Max, fermo da un paio di stagioni. Lo conosceva sin dall’epopea juventina, avendolo precettato d’urgenza, già nel 2014, per “parare” il burrascoso addio del Salentin fuggiasco dopo tre titoli (ai quali si aggiunsero, d’infilata, i cinque del “supplente” labronico). Il Feticista ci pensò su: «Grazie di cuore. Sono lusingato, ma mi convince di più il progetto della Juventus». Così, Beppe telefonò a Simone, che stava cenando con Claudio Lotito, suo boss alla Lazio. La storia ne ricavò un filmone. Morale: allegri, sì, e pure parecchio. Ad Appiano, però.   

    


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