Caso doping Pogba, la difesa parla di un altro ormone: cos’è e cosa cambierebbe

La difesa di Paul parla del Dhea, mentre il laboratorio non ha dubbi: è testosterone
Giorgio Marota
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Un laboratorio di analisi non dà spiegazioni, non offre retroscena, non spiega i come e i perché di certe vicende. Restituisce però una verità (scientifica fino a prova contraria), riportandola nero su bianco dentro un referto: «Metaboliti del testosterone di origine non endogena», questa la dicitura che conferma la positività e al momento inchioda Paul Pogba, tenendolo lontano dai campi in attesa che sulla vicenda faccia luce il tribunale antidoping. Significa, per spiegarla semplice, che il prodotto di trasformazione ritracciato nelle urine del ragazzo - prelevate il 20 agosto a Udine - non proviene dal testosterone che lui produce naturalmente, ad esempio dai testicoli, bensì risulta essere “estraneo” al corpo umano, sintentico. I quattro marker del test sono risultati tutti “positivi al testosterone”, come ha evidenziato nel dettaglio anche la controanalisi di ben 14 ore effettuata tra giovedì e venerdì al laboratorio dell’Acqua Acetosa.  

Pogba positivo, la difesa parla di Dhea

Ieri è emersa però un’altra versione di questa storia: secondo i legali del francese, il centrocampista della Juve non sarebbe positivo al testosterone bensì al Dhea, un ormone della giovinezza anch’esso sintetico (effetto anabolizzante) presente in alcuni supplementi alimentari ma decisamente meno conosciuto rispetto al testosterone, e con conseguenze in termini di pena che potrebbero essere meno rilevanti. Alla luce della seguente tesi difensiva, risulterebbe più plausibile l’assunzione inconsapevole della sostanza che già di suo dimezza la pena rispetto ai 4 anni di stop previsti dal codice (la sanzione scende ancora se l’imputato, oltre ad ammettere la responsabilità, fornisce spiegazioni dettagliate e consegna la sostanza come prova). Una versione che, però, a diversi esperti non quadra. Per almeno due ragioni. In primis, la sofisticatezza degli strumenti oggi permette il distinguo anche tra sostanze che si somigliano (e l’esito delle controanalisi parla chiaramente di testosterone); in secondo luogo, anche il Dhea è una sostanza proibita dalla Wada, i medici sportivi lo sanno ed è indicata sulle etichette dei prodotti. C’è poi una terza questione, tutt’altro che banale: la presenza di questo ormone nelle urine starebbe a significare un’assunzione piuttosto recente (giorni, non settimane), scenario confermato anche da valori abbastanza alti nei quattro marker dell’analisi. L’ipotetica versione dell’integratore preso per errore a metà giugno, mentre il calciatore si trovava in vacanza negli Usa, a quel punto potrebbe trasformarsi quasi in un autogol. Le memorie difensive, l’interrogatorio del procuratore antidoping e la decisione se patteggiare o se tirare dritti verso il processo, saranno i prossimi passi della vicenda. 


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