Non è giusto sminuire la vecchia Lazio

Non è giusto sminuire la vecchia Lazio
Alberto Dalla Palma
4 min

Nessuno ha mai chiesto la qualificazione Champions a Sarri, tantomeno il presidente Lotito e il ds Tare, che ben conoscono il valore della Lazio e della sua rosa, ma è anche vero che al termine dei primi sei mesi in biancoceleste tutti si aspettavano qualcosa in più da Mau, distante 11 punti dal quarto posto e costretto ad affrontare i playoff di Europa League contro il Porto perché la squadra biancoceleste non è stata in grado di battere il Galatasaray, attualmente al nono nella classifica del campionato turco. È chiaro che il tecnico ha bisogno di tempo per trasformare il 3-5-2 di Inzaghi, che gli attuali interpreti recitavano a memoria, nel suo 4-3-3: la Lazio è ancora un cantiere aperto dove il palazzo mostra delle crepe già durante la costruzione. Ci sono delle difficoltà evidenti, il passaggio dal vecchio al nuovo è stato traumatico e la fuga dalla cena di Natale, ancora prima del discorso del presidente, è un chiaro segnale che qualcosa si è rotto anche nello spogliatoio, dove certe prese di posizione dell’allenatore non sono piaciute.

Non c’è un’intervista in cui Sarri non sottolinei i motivi per cui la squadra non riesce a decollare e a capirlo, andando incontro anche a sconfitte umilianti come quelle di Milano, Bologna, Verona e Reggio Emilia contro il Sassuolo: il tecnico accusa la scarsa adattabilità della rosa attuale al suo calcio e i giocatori non gradiscono. Anzi, contestano, ma mai pubblicamente. Più o meno quello che è successo alla Juve, quando Mau ha gestito una stagione completamente solo e, contro tutto e contro tutti, ha vinto l’ultimo scudetto (il nono) di un ciclo irripetibile. Nella Lazio, invece, il ciclo va riaperto, come ha spiegato Sarri: via quasi tutti i big, meno Ciro Immobile, e dentro tanti giocatori da individuare sul mercato, sperando che siano migliori di quelli arrivati negli ultimi anni. Ma Sarri, e non capiamo il perché, non ha perso occasione ancora una volta per ricordare che i cali di tensione fanno parte della storia della Lazio, che la Champions da queste parti è sempre stata un miraggio e che quando è arrivata, le milanesi erano in piena crisi.

Caso vuole che nel maggio del 2018 la squadra biancoceleste abbia perso il quarto posto nello spareggio dell’Olimpico proprio contro l’Inter e che la stagione scorsa sia entrata come quarta qualificata al fianco dei nerazzurri: Conte uscì al termine del girone, la Lazio arrivò agli ottavi imbattuta (unica italiana) per poi cadere, inevitabilmente, contro il Bayern. Poche qualificazioni, è vero, però la squadra è sempre riuscita a restare in lotta per un posto di prestigio pur avendo una rosa di dodici o tredici giocatori da competizione: l’Europa League è ormai diventata da anni la casa della Lazio e ora, invece, sembra quasi un miraggio. Ma ricordiamo anche a Sarri che prima dello scudetto dell’Inter, la Lazio era la squadra più vincente dopo la Juve nonostante tre finali perse: 2 Coppe Italia e 3 Supercoppe, di cui una alzata proprio davanti a lui dopo una partita capolavoro di Luis Alberto, Milinkovic e Immobile, alcuni dei giocatori che oggi vengono accusati di non saper interpretare il suo calcio. È lecito parlare di ricostruzione, ma non è giusto svilire il valore di una squadra, che, costruita con una manciata di euro, è riuscita a divertire e a restare al vertice per anni.


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