© Getty Images Lazio, la responsabilità dei giocatori
Non si parla più di calcio, ma solo di Lotito e Sarri, come se un grande allenatore potesse segnare qualche gol dalla panchina o possedesse i poteri del mago Otelma. La Lazio, padrona del proprio destino, ha fatto tutto da sola, stabilendo un record al contrario: il blocco del mercato in entrata ventuno anni dopo i nove acquisti in un giorno. Dal 31 agosto 2004 ad oggi sembra cambiato poco o niente. Una gestione lenta, progressi quasi impercettibili, solito grafico, su e giù, tornando dal secondo al settimo posto e ripiombando nella contestazione, per la prima volta appoggiata su numeri di bilancio, conti e indicatori economici da riequilibrare. Commercialisti o tifosi? È questo il dilemma di tanti laziali, spiazzati come Mau dentro un’estate surreale e senza precedenti. C’è un rischio elevatissimo, a forza di trascurare l’ovvio, spostando il focus dal campo: togliere responsabilità ai giocatori. Bene ha fatto Sarri a intervenire subito, parlando al gruppo in apertura di stagione. La storia laziale è conosciuta e non c’è bisogno di ricordare Eugenio Fascetti, l’estate dei meno 9 e una retrocessione in C sventata agli spareggi di Napoli quasi un anno dopo. «Chi vuole resti, chi non se la sente può andare via subito. Rimanemmo tutti». In questo caso, nessuno se ne può andare da Formello. Il contrario. Sono tutti legati dal contratto ed è opportuno che Lotito, se riuscirà ad abbassare il costo del lavoro attraverso il taglio degli esuberi e senza cedere un big, sia inflessibile nel chiederne il rispetto. Non è tempo di ritocchi, premi, promesse, prebende e mal di pancia.
Bisogna correre, allenarsi e sudare sul campo, possibilmente andando incontro alla società (in proiezione futura) per l’ingaggio. Troppo comoda la vita di calciatori e procuratori. Sono gli ultimi a pagare quando le cose finiscono male. Basta cambiare aria o squadra per andare a guadagnare di più e togliersi dai guai. Dipendenti per contratto e aziende private per mentalità. Non è retorica. Segnaliamo il rischio, ben sapendo (non dal club) che qualcuno è andato a bussare e conoscendo la storia recente della Lazio. Pioli, dopo il terzo posto, nell’estate 2015 cominciò a crollare per le dispute sulla fascia di capitano mollata da Mauri, i mancati acquisti in previsione del preliminare Champions, gli infortuni di De Vrij, Klose e Djordjevic. Già a ottobre la squadra era spaccata e ognuno curava il proprio tornaconto. Si può risalire al 2009, dopo la Coppa Italia alzata da Delio Rossi: venti milioni spesi per riscattare Zarate a furor di popolo, Pandev e Ledesma fuori rosa senza rinnovo del contratto e un mercato insufficiente (preso Eliseu oltre agli svincolati Cruz e Bizzarri) mentre Lotito - sordo a qualsiasi avvertimento - urlava che la sua squadra aveva vinto la Supercoppa battendo l’Inter di Mourinho a Pechino e poteva competere con chiunque. Lo stesso pensiero ripetuto a giugno e quando sostiene con convinzione che Sarri, senza rinforzi, possa portare lo stesso gruppo oltre i 65 punti e il settimo posto di Baroni. È molto difficile, speriamo sia vero. Noi diciamo forse sì, con uno slancio di ottimismo, se tutto andrà bene, a patto che la squadra risponda con serietà e si formi un blocco unico con l’ambiente, oggi impossibile da vedere.
