Napoli, il ritorno di Spalletti: la verità nei numeri

Nella seconda metà della stagione le sue squadre calano sempre? Solo un luogo comune già smentito
Napoli, il ritorno di Spalletti: la verità nei numeri© LAPRESSE
Antonio Giordano
4 min

NAPOLI - I numeri vanno letti, e neanche superficialmente, poi andrebbero analizzati e semmai persino contestualizzati, perché intanto - mentre si fanno le somme e poi le differenze - può darsi che si sia perso qualche dettaglio per strada. Il calcio di oggi è sostanzialmente diverso rispetto a quello di due anni fa, basterebbero le cinque sostituzioni a spiegarlo: prendi mezza la squadra, la butti in campo, e guadagni freschezza, diversità, semmai pure un talento che hai preferito risparmiare. Ma l’aritmetica a volte resta una “drammatica” opinione e andando a leggere nel futuro, però scartabellando pure nel passato, tra i pericoli in cui il Napoli potrebbe imbattersi viene indicata la possibilità di una frenata: comprensibile, direbbe un Watson del football, se in quindici partite ne hai vinte tredici (e undici di seguito), se le altre due le hai pareggiate e viaggi ad un’andatura folle, roba che gli umani... Ma questo non è (solo)
un esercizio di resistenza, è calcio, è schema, è zona o uomo contro uomo, è un dribbling, un assist, la fantasia di un allenatore - Spalletti - che ha costruito con genialità un Napoli prossimo alla perfezione ma mica invincibile.

Napoli, i conti

Per ora, tornano: e ci mancherebbe. Nessuno come lui, né Sarri che aveva tre punti in meno, né Bianchi e Bigon che hanno vinto lo scudetto: ma il campionato è appena cominciato, rinascerà (non da zero, perché quello che è fatto è fatto) a gennaio, trascinerà ancora e di nuovo e per sempre in un frullatore (il campionato, la Champions e anche la Coppa Italia), richiederà mica solo energia ma anche strategia e una forma d’intelligenza viva nella quale non sia contemplata la gestione del vissuto, semmai quella delle forze. Nella narrazione che accompagna Luciano Spalletti e il proprio vissuto s’intrufola nelle statistiche, ne fa le radiografie, le sottopone quasi ad una lente d’ingrandimento e ci scorge le “difficoltà” del biennio interista nelle diciannove gare conclusive - 41 punti all’andata e 31 al ritorno, nella sua prima stagione; 39 nella fase ascendente e 30 in quella discendente, della seconda - analisi che riflette un dato, le cifre inappuntabili, e comunque ignora un aspetto, il raggiungimento dell’obiettivo, la qualificazione in Champions.

Luciano a San Siro

L’Inter aveva bisogno innanzitutto della Champions come l’aria; la Roma, invece, il 14 gennaio del 2016, non sospettava di potersi lanciare ad esplorare quell’universo non lontanissimo ma sufficientemente affollato, e quando convocò Spalletti per sostituire Rudi Garcia, il quinto posto rappresentava una speranza che divenne una carezza sull’anima e sul bilancio, decisamente sollevato da quel finale di campionato ad alto contenuto: 46 punti, 14 vittorie, 4 pareggi e una sconfitta, terzo alle spalle di Juventus e Napoli e brindisi per la qualificazione agli spareggi, il passaporto per i gironi. L’ultimo Spalletti, senza andare troppo a ritroso nei secoli, ha ritorni di fiamma si direbbe: 46 punti, cinque in più dell’andata nel 2017: e prima di andarsene in Russia, sempre a Roma, segnali positivi, di poco, quanto basterebbe per sconfiggere un luogo comune, evitando però di parlare di scudetto e di emozioni da cominciare ad avvertire: «Ci sono sei concorrenti per il titolo, sono tutte lì vicinissime, e bastano due partite, due minuti o due cose sbagliate per riuscire a crearti problemi». That’s the question.


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