Ma è sin troppo semplice andare a scovare tra le pieghe di 124 notti, mai una eguale alle altre: «Facile». E non si può essere neppure banali a provare di scoprire quale sia stata la vibrazione più forte, tra le ventidue (reti) d’un triennio irripetibile. «La stupirò, non è stato un gol ma un assist». Goran Pandev è un illustre rabdomante d’un calcio epocale, il triplete di Mourinho, e un adorabile prestigiatore che con il Napoli ha avviato la rivoluzione dal basso. «E si porta appresso ricordi che resteranno per la vita». C’era lui, all’Olimpico, ad «armare» il contropiede, passettini secchi e poi, zac, il sinistro tagliente per dare ad Hamsik il pallone con i giri giusti. «Che gusto, quel passaggio».
20 maggio del 2012: Juventus-Napoli, finale Coppa Italia a Roma.
«La prima conquistata con la maglia azzurra; la seconda sarebbe arrivata due anni dopo, contro la Fiorentina. Quella volta, contro la Vecchia Signora, c’era Mazzarri in panchina. E ripensare che allenerà ancora e di nuovo quella squadra, mi rende felice».
Apriste un ciclo.
«Così dicono e penso sia vero. Giocavamo a memoria, sfruttavamo il suo lavoro, una cura dei particolari che pareva maniacale ma che voleva solo indurci a facilitarci il compito in campo».
A scanso di equivoci, e delle leggende metropolitane, si può dire che quella squadra era proprio niente male.
«Concordo. Basta vedere le carriere degli altri, di alcuni in particolare: il pocho e il matador al Psg, per dire, io qualcosa avevo conquistato, con l’Inter; c’erano un bel po’ di Nazionali, c’era un progetto consolidato».
Nell’epoca dei tre cambi, in attacco c’erano Lavezzi, Cavani, Pandev e, vista la natura così ampia, Hamsik, che arrivava da dietro segnava come un centravanti.
«E alla Juventus demmo il colpo di grazia in quel modo: eravamo 1-0, gol di Edi dal dischetto; stavamo soffrendo, ma giocavamo contro una corazzata, già campione d’Italia. Entrai al posto del pocho, sentii Marek sorpassarmi a destra, lo servii e ci pensò lui».
Com’era Mazzarri: è consentito tutto (tranne le male parole)...
«Diciamo esigente... Splendido rapporto con chiunque. Mi volle a tutti i costi. Gli sono grato per avermi fatto conoscere una città speciale, che a me e alla mia famiglia è rimasta dentro. Era carichissimo, sempre, motivazioni a palla, una voglia di lavorare che ti conquistava».
E ora com’è?
«L’ho sentito, anche recentemente, mi sembra leggermente cambiato, più tranquillo. Ma rimane un riferimento anche caratteriale, ha dentro il fuoco, ti fa star bene, ti fa lavorare. Ci conoscevamo già ma Napoli ha rafforzato il rapporto, che è rimasto».
Facile: lo scudetto è andato?
«Dieci punti dall’Inter e otto dalla Juventus sono già tanti. E poi si parla di due eccellenze. Ma lui nei primi quattro ci entra, ne sono sicuro. E tra Coppa Italia e Champions farà divertire. Ha argomenti sufficienti e il modulo è un falso problema che saprà come risolvere. Comunque, l’uomo adatto per riportare il Napoli tra le grandi è lui».
Che Napoli trova?
«Spiace per Garcia, non è mai bello doversi esprimere mentre un allenatore è stato esonerato. Ma questo è il calcio. Il Napoli è uno squadrone, non so cosa non sia andato, a volte succede, ma è così pieno di giocatori di talento che, se per caso mi chiedesse qual è il mio preferito, io non saprei cosa risponderle».
Non glielo chiederemo, allora...
«Però è chiaro che ho il debole per Elmas, un gioiellino della mia Macedonia. Calciatore completo, che sa spazio e fiducia può dare persino più di quanto ha dato: e mi sembra che abbia dato parecchio».
Venerdì c’è anche Italia-Macedonia.
«La guarderò in tv, non sarò a Roma. Sfida speciale, eviti di farmi sbilanciare sul pronostico».
Almeno dica cosa farà da grande Goran Pandev.
«Sono impegnato in Macedonia con un club che abbiamo acquistato e sto gestendo. Non penso di allenare, non ho voglia, adesso devo solo godermi la famiglia alla quale non ho potuto dedicare il tempo che avrei voluto. E poi, boh, forse studierò da manager, sto cominciando con Branchini. Ma non ho le idee chiare».