Perché Cruyff è immortale

I campioni hanno un potere: non invecchiano mai nella memoria di chi li ha applauditi, perché la bellezza del calcio non ha età
Perché Cruyff è immortale© AP
Stefano Chioffi
5 min

ROMA - I campioni hanno un potere: non invecchiano mai nella memoria di chi li ha applauditi, perché la bellezza del calcio non ha età, proprio come quei capolavori che si trovano nei musei. Il testamento che ha lasciato Cruyff va ricercato in quei ricordi che vivono nella cassaforte della gente comune e in quelle immagini che hanno fatto epoca. I suoi dribbling sono eterni, non hanno un tempo e non hanno una scadenza: continueranno ad affascinare e ad accendere un’emozione; non smetteranno di rappresentare un ideale, un punto di riferimento, un esempio.

La lezione di Cruyff è in quell’eleganza che è entrata di diritto nella storia. Ma anche nella sua voglia di cercare la perfezione in un gesto tecnico e in uno schema. «Tu devi sempre sapere quello che non sai fare»: ecco una delle frasi che ripeteva spesso, a se stesso, ai suoi compagni, e più avanti anche ai suoi giocatori e ai suoi collaboratori. Già, perché Cruyff non è stato solo il simbolo di un’Olanda fenomenale, guidata in panchina da Rinus Michels, il maestro del “calcio totale”. E’ stato anche il papà di un Barcellona che ha cambiato i suoi metodi, le sue prospettive e il suo tenore di vita proprio dopo aver conosciuto il ragazzo di Amsterdam, cresciuto nel quartiere di Betondorp, l’ex genio dell’Ajax. Sua, di Johan, l’idea di creare la “cantera”, sua l’impronta - a livello di mentalità - che ha aiutato il club catalano a correre verso la leggenda, sua la firma sulla prima Coppa dei Campioni (1992), quando aveva scelto come centravanti il bulgaro Hristo Stoichkov.

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LA STORIA DI CRUYFF

Il “grande risiko” del Barcellona è stato ispirato dalla raffinata cultura tattica di Cruyff. Guardiola è stato è un suo allievo, è stato allenato dall’olandese. Ha studiato il calcio con Cruyff. Il popolo del Camp Nou, ancora oggi, continua a venerare quel Barcellona costruito magistralmente da Johan. Quattro scudetti consecutivi tra il 1991 e il 1994, 339 gol in 152 partite di campionato, un attacco formidabile: le magie di Stoichkov, la fantasia di Michael Laudrup e più avanti il talento infinito di Romario.

Ma in quel Barcellona da sogno, che giocava ad altissima velocità e sfiniva i suoi avversari con una tecnica purissima, c’era anche un regista difensivo come Ronald Koeman: suo il gol su punizione che decise nel 1992 - a tre minuti dalla fine dei tempi supplementari - la finale di Coppa dei Campioni contro la Sampdoria di Vialli e Mancini. E poi c’erano Pep Guardiola, che aveva il compito di dare forma a un’idea di gioco, l’ala sinistra Begiristain, il portiere Zubizarreta, il jolly Nadal e soprattutto un centrocampista completo come Josè Maria Bakero, corsa e muscoli, ma anche tanti gol (72 in 260 partite nella Liga) con i suoi blitz in area. Quel Barcellona, maestoso e straripante, è un altro dei regali che ci ha lasciato Cruyff.

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