Ancelotti a Napoli nell'hotel dove fu esonerato da De Laurentiis: il retroscena

Carletto torna oggi in un luogo che ha amato intensamente nei suoi 566 giorni da allenatore azzurro
Ancelotti a Napoli nell'hotel dove fu esonerato da De Laurentiis: il retroscena
Antonio Giordano
5 min

Nei suoi 566 giorni, uno dei più grandi allenatori di tutti i tempi fece in tempo a vedere cose che gli umani... Ma poi! Poi, quando il 10 dicembre del 2019 venne congedato con una stretta di mano, Carlo Ancelotti, fece giusto in tempo a dare uno sguardo al panorama mozzafiato dalla sua casa di via Tasso e a portarsi appresso un pizzico di rimpianto, rimasto adagiato nel labirinto dell’anima. L’uomo, un Gigante capace di issarsi persino oltre l’Immensità del proprio football e al di là della torre di trofei che gli hanno riempito l’esistenza, uscì dalla stanza dell’hotel Vesuvio, salutò De Laurentiis con quella cordialità mai smarrita, e si lasciò addosso i profumi d’una città che l’aveva stregato ma che non era riuscito a conquistare. Lui, che era e che sarebbe stato ancora il padrone del Mondo, dovette piegarsi ai risultati di quel campionato, ai luoghi comuni assai balordi, alle sentenze del bar Sport («È bollito»), pure alle maldicenze («È venuto a sistemare il figlio») e ad una ventata di rinnovamento avvertita già nell'estate del 2019, con i contatti con Gasperini.

Ancelotti, dalla rivoluzione all'ammutinamento

Napoli-Real è un po’ un viaggio tra i ricordi di Ancelotti, un anno e mezzo d’un amore soffocato dall’atmosfera guasta per lo scudetto perduto in albergo o dinnanzi alla tv. E ad un uomo, un allenatore, capace di vincere ovunque (e con il Real Madrid pure dopo quell’addio: un a Liga, una Champions, e coppe d’ogni genere e specie), sorse immediatamente il dubbio che quel ciclo stesse per chiudersi per indiscutibile decisione della carta d’identità: però, in attesa di intrufolarsi nel futuro, sistemò poche cose, provò ad introdurre un metodo di comportamento, dovette pure accomodarsi con Mino Raiola, all’epoca il manager di Insigne, per sbarazzarsi di qualsiasi equivoco, e comunque tracciò un solco. Il secondo posto in campionato, in quella Napoli ancora sofferente, venne catalogato come normalità, e però, nel momento d’incidere, De Laurentiis si illanguidì ed evitò la rivoluzione, resa impossibile dalle resistenze di un mercato insensibile nei confronti delle sue stelle. Allan fu per una notte o forse due del Psg, poi rimase scioccato per l’occasione perduta, finì per ritrovarsi dentro un’insospettabile involuzione; Insigne si lasciò blindare dal proprio contratto; Mertens - 32 anni - costruì le premesse per il rinnovo; e alla fine, dal Progetto, uscirono sostanzialmente Hamsik (nel gennaio del 2019), Albiol e Diawara, e rimasero esclusi Theo Hernandez, Valverde, Ibra e Ilicic, le idee. Ma la scossa, in un’epoca frastagliata, con livori e rancori tra società e calciatori, fu l’ammutinamento del 5 novembre 2019, quando la squadra si rivoltò contro il club, rifiutò il ritiro e scrisse una delle pagine più tristi di quel tempo, anzi di sempre.

Il rimpianto di De Laurentiis

Quel Napoli, che in Champions s’era esibito con insospettabile respiro internazionale, guardava comunque all’Europa con disinvolta autorevolezza: al primo anno, era uscito ai gironi per differenza reti con il Liverpool; ma nell’Ancelotti-2, giocandosela ancora con il Liverpool campione d’Europa (battuto al San Paolo, bloccato ad Anfield), era arrivato agli ottavi. Fu subito dopo il 4-0 con il Genk che De Laurentiis fissò una cena sulla terrazza con vista opaca: perché era già tutto previsto, l’intuì il pubblico allo stadio, che al 90' della partita applaudi Ancelotti per congedarsi. Un rimpianto collettivo, per Adl, per Ancelotti, che stasera alloggia proprio dove finì la sua Napoli. Le coincidenze sono le cicatrici del destino, avrebbe scritto Zafon.


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