Coppa Italia: Atalanta e Juve a Roma per la storia

Le squadre arrivano nella Capitale in condizioni di forma profondamente diverse: Gasperini e Allegri a confronto
Marco Evangelisti

Lasciamo ad altri le finali normali. Questa è una sorta di successione rituale, un passaggio d’epoca, un tentativo di sostituzione sociale. Nelle intenzioni dell’Atalanta e del suo artigiano Gasperini, naturalmente. La Juventus resterà aggrappata fino alla fine - per rubare uno slogan - al suo status di Signora del calcio italiano. Logorata dal tempo e dal fato, ma dura da sbattere fuori delle sue stanze. C’è una lunghissima vicenda storica che divide verticalmente i due club convocati questa sera all’Olimpico per disputarsi la Coppa Italia. Settantuno trofei al massimo livello dalla parte juventina, giusto una Coppa Italia nel 1963 da quella atalantina. In epoca gasperiniana avrebbero potuto già diventare due se nel 2019 non si fosse messa di mezzo la Lazio e nel 2021 la Juventus medesima con Kulusevski, che dall’Atalanta era stato educato, addestrato e in seguito abbandonato. Cose che capitano in quel laboratorio-oratorio di passioni e talenti. 

Coppa Italia, l'Atalanta di Gasperini

Eppure oggi è una finale tra pari, di quelle che possono cambiare la storia prossima ventura, che poi in faccende come il calcio è l’unica storia che conta. L’Atalanta da otto stagioni è una Dea modellata da un Demiurgo di nome Gian Piero Gasperini, platonicamente innamorato delle sue idee fatte della stessa materia delle ossessioni: contemplano dedizione feroce, addestramento tecnico, disciplina militaresca e fisicità tracimante. Sembra una cosa che sfibra e infatti lo è, tanto che a intervalli regolari l’Atalanta si rinnova per pezzi o metà intere. Però è così che nascono al mondo i Koopmeiners, i Pasalic, i Lookman e rinascono i De Ketelaere. Eccetera eccetera. Forse è un romanzo che va a concludersi, questo lo vedremo. Di certo Gasperini lascerà eventualmente a Bergamo, e nel laboratorio-oratorio di Zingonia, una linea di lavoro in stile libretto di istruzioni - che poi altri siano in grado di applicarla con uguale efficacia è altro discorso - e un’ossatura di valori calcistici di elevatissimo piano. 

Juve fragile e salda 

Qui sta l’asterisco che segnala la finale di stasera come qualcosa di nuovo e particolare. Di fronte alla Juventus di Vlahovic e Chiesa, Rabiot e Bremer, ballerina nella testa, fragile negli addominali di centrocampo, salda come da tradizione in difesa ma forse non come ai tempi di platino, l’Atalanta che con il suo calcio pattinato ha appena pestato la Roma ed è anche in finale di Europa League con eccellenti possibilità di irretire il Leverkusen non è la sfidante che insegue l’impresa improbabile. Al contrario, è la favorita logica. Il presente irrompe e invade un passato aristocraticamente sonnolento. Che può reagire, intendiamoci, e ne ha tutte le chance. Anche Max Allegri sembra in procinto di recarsi altrove, dopo aver obbedito al richiamo dell’antica magione che gli chiedeva di aiutarla a dimenticare il tentativo di trasfigurarsi con Sarri e di rimettersi in riga con Pirlo. 


© RIPRODUZIONE RISERVATATutte le news di Coppa Italia

Juve e Atalanta, cammino simile

Come Gasp, Allegri eventualmente se ne andrà verso il tramonto, che è sempre il prologo a un’alba, senza abbandonare a mani vuote la Juventus. Le affida invece una rosa piuttosto rinfrescata, inferiore ai ventisette anni di media, e un centinaio di milioni di benefit vari con i quali irrigare il bilancio. Questa sera però potrebbe essere costretto a fare a testate con l’onda del cambiamento. Negli ultimi quattro anni il piazzamento medio della Juventus in campionato è di 4,75. Quello dell’Atalanta di 5,25. Praticamente una marcia parallela. Dal 2020 la Juventus ha messo insieme tre ottavi di Champions e una semifinale di Europa League, l’Atalanta un quarto e un ottavo di Champions e un quarto e la prossima finale di Europa League il 22 a Dublino. La Juve però ha vinto il suo ultimo scudetto e Coppa e Supercoppa italiane. Gasperini nulla. Aspettando Dublino, è questa la sera in cui tutto cambierà oppure qualcosa, solo qualcosa, resterà come prima. 


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Lasciamo ad altri le finali normali. Questa è una sorta di successione rituale, un passaggio d’epoca, un tentativo di sostituzione sociale. Nelle intenzioni dell’Atalanta e del suo artigiano Gasperini, naturalmente. La Juventus resterà aggrappata fino alla fine - per rubare uno slogan - al suo status di Signora del calcio italiano. Logorata dal tempo e dal fato, ma dura da sbattere fuori delle sue stanze. C’è una lunghissima vicenda storica che divide verticalmente i due club convocati questa sera all’Olimpico per disputarsi la Coppa Italia. Settantuno trofei al massimo livello dalla parte juventina, giusto una Coppa Italia nel 1963 da quella atalantina. In epoca gasperiniana avrebbero potuto già diventare due se nel 2019 non si fosse messa di mezzo la Lazio e nel 2021 la Juventus medesima con Kulusevski, che dall’Atalanta era stato educato, addestrato e in seguito abbandonato. Cose che capitano in quel laboratorio-oratorio di passioni e talenti. 

Coppa Italia, l'Atalanta di Gasperini

Eppure oggi è una finale tra pari, di quelle che possono cambiare la storia prossima ventura, che poi in faccende come il calcio è l’unica storia che conta. L’Atalanta da otto stagioni è una Dea modellata da un Demiurgo di nome Gian Piero Gasperini, platonicamente innamorato delle sue idee fatte della stessa materia delle ossessioni: contemplano dedizione feroce, addestramento tecnico, disciplina militaresca e fisicità tracimante. Sembra una cosa che sfibra e infatti lo è, tanto che a intervalli regolari l’Atalanta si rinnova per pezzi o metà intere. Però è così che nascono al mondo i Koopmeiners, i Pasalic, i Lookman e rinascono i De Ketelaere. Eccetera eccetera. Forse è un romanzo che va a concludersi, questo lo vedremo. Di certo Gasperini lascerà eventualmente a Bergamo, e nel laboratorio-oratorio di Zingonia, una linea di lavoro in stile libretto di istruzioni - che poi altri siano in grado di applicarla con uguale efficacia è altro discorso - e un’ossatura di valori calcistici di elevatissimo piano. 

Juve fragile e salda 

Qui sta l’asterisco che segnala la finale di stasera come qualcosa di nuovo e particolare. Di fronte alla Juventus di Vlahovic e Chiesa, Rabiot e Bremer, ballerina nella testa, fragile negli addominali di centrocampo, salda come da tradizione in difesa ma forse non come ai tempi di platino, l’Atalanta che con il suo calcio pattinato ha appena pestato la Roma ed è anche in finale di Europa League con eccellenti possibilità di irretire il Leverkusen non è la sfidante che insegue l’impresa improbabile. Al contrario, è la favorita logica. Il presente irrompe e invade un passato aristocraticamente sonnolento. Che può reagire, intendiamoci, e ne ha tutte le chance. Anche Max Allegri sembra in procinto di recarsi altrove, dopo aver obbedito al richiamo dell’antica magione che gli chiedeva di aiutarla a dimenticare il tentativo di trasfigurarsi con Sarri e di rimettersi in riga con Pirlo. 


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