Napoli, questione di testa

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Alessandro Barbano
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Tagsnapoli

Il problema del Napoli è mentale, dice Francesco Calzona. Al netto del fatto che Natan, Cajuste, Lindstrom non fanno Kim, Elmas, Lozano e Ndombele, e che Mazzocchi, Traore, Ngonge e Dendoncker non hanno ancora dimostrato di poter fare la differenza, il nuovo tecnico ha ragione. Mentale è la caduta di tensione per giocatori come Kvara, Zielinski, Di Lorenzo, Rrahmani, e in un certo senso anche Lobotka, Politano e Anguissa, che pure sono rimasti sopra una soglia apprezzabile di qualità, ma lievemente più bassa dell’anno scorso. Vuol dire minore convinzione nei propri mezzi, minore intensità nervosa, minore sopportazione della fatica. Lo vedi nell’efficacia del pressing, nella risolutezza e nella postura al tiro, nella lettura del gioco degli avversari in fase difensiva.
Vale, in maniera più attenuata, anche per Osimhen. Che pure ha stimoli per giocare al meglio e puntare a trovare un club disposto a pagare la clausola per portarlo in Inghilterra o a Parigi. Però altro è impegnarsi perché si crede di poter vincere, altro è farlo per fuggire. L’anno scorso il nigeriano ha fatto gol da posizioni impossibili e con gesti atletici frutto di azzardo calcolato. Quest’anno ha fin qui segnato il segnabile, ma niente di più.
Per Kvara e per gli altri la situazione si è fatta più complessa. Il loro contratto li vincola ancora per un paio di stagioni, ma non è soddisfacente rispetto alle attese. Non hanno chance di andare via, ma forse vorrebbero farlo. Anche perché hanno cambiato tre allenatori, un direttore sportivo e, più di tutto, clima. Questa condizione non li aiuta a proiettare nel tempo l’intensità agonistica, la fiducia, il desiderio di lottare per vincere. Il tricolore sul petto finisce così per appagare, non per stimolare.
Ci vuole anzitutto un motivatore. E supponiamo che Calzona lo sia. Conosce i giocatori, è un ottimo tattico, se riesce a coinvolgerli a fare risultato, ha buone chance di restare anche l’anno prossimo. Ma ancora tutto poggia sul se, perché il suo contratto per ora arriva a fine stagione. L’investimento su di lui può essere, in queste condizioni, solo un’apertura di credito fiduciaria, uno slancio della generosità giovanile. Se saprà usare le parole giuste, potrebbe riuscire a fare breccia negli animi di questa pattuglia di campioni sfiduciati.
Ma, accanto al motivatore, servono le motivazioni. Cioè le condizioni oggettive per immaginare che il Napoli sia in grado di costruire un ciclo, al netto del risultato fin qui deludente della stagione. Occorre che la società faccia da questo momento in poi scelte che consolidino nel gruppo questa convinzione. Dando un segnale di investimento, di continuità, di durevolezza.

Un bravo tattico ci ha spiegato che una squadra vincente è quella che, segnato il primo gol, potenzia la voglia di raddoppiare. E che ancora, subito il primo gol, gioca con la stessa convinzione di prima di poter vincere la partita. Sono due atteggiamenti psicologici che si possono suggerire, con uno specifico training. Ma se non sono sorretti da condizioni di contorno capaci di ispirare fiducia, rischiano di rivelarsi finzioni destinate a cadere come castelli di sabbia sulla riva del mare, all’arrivo della prima onda. Perché la motivazione non è una tattica, ma una strategia. Presuppone una coerenza di sistema che riporti gli appelli all’ottimismo e alla fiducia a condizioni più strutturali stabili, come un contratto soddisfacente, una guida dirigenziale autorevole, un rapporto non conflittuale con la società. Il successo, lo abbiamo scritto molte volte su queste colonne e mai come in questo momento è giusto ripeterlo, non è una sommatoria di investimenti, ma un’alchimia instabile, in grado di esaltare i singoli ingredienti di cui è composta.
Ecco il compito di Calzona. Ma è soprattutto il compito di De Laurentiis, e dei quadri dirigenziali azzurri. Il presidente è stato visto costantemente sul campo in queste ultime giornate. Segno del suo attaccamento alla squadra, ma anche della sua preoccupazione per le sorti di una stagione che rischia di rivelarsi un flop. Ma più che la presenza, vale la visione e la coerenza dei gesti e delle mosse che da qui a giugno si faranno. Provare per credere.


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