De Rossi e la Roma, come una cosa sola

Un percorso lungo più di vent’anni, iniziato in macchina con papà Alberto, fino ai 63 gol e alle 616 gare in 18 stagioni, con tre trofei e il Mondiale. E adesso l’ultima sfida

ROMA - Il mare di Ostia si gonfia dei sogni di un bambino biondo che vola come un aquilone sul bagnasciuga dello Sporting Beach, il lido “di famiglia”. Sembra che si faccia bastare l’Ostiamare, dove gioca a pallone, e quando la Roma chiama una volta, a 9 anni, preferisce restare lì, dai Gabbiani, con gli amichetti del cuore. Ma nel suo cuore i colori giallorossi hanno un posto ben preciso e l’appuntamento con Trigoria, Daniele De Rossi, nella sua testa lo ha solo posticipato. A 13 anni arriva un’esperienza estiva nell’Accademia Bruno Conti, mentre papà Alberto è appena sbarcato dalla Tor Tre Teste al vivaio giallorosso come allenatore. Bruno nota la tigna del ragazzino: e certo, se la portava dietro dal primo no. Insiste con il padre per portarlo a Trigoria. E così, nel 1996, Danielino varca il fatidico cancello: è un’aletta, un trequartista, il biondo dei capelli quasi acceca. Nessuno sa che è iniziata una storia d’amore che si srotolerà da lì a Capitan Futuro e oltre. Perché il triplo percorso dal vivaio, alla Serie A, alla panchina di allenatore è cosa rara: ci sono riusciti Claudio Ranieri, Carlo Mazzone, Bruno Conti (quest’ultimo per dieci partite da marzo a giugno del 2005). 


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De Rossi, il percorso nel vivaio

Daniele cresce, dal mare di Ostia a Trigoria ogni giorno è una scarrozzata in macchina con papà. Fino a che incontra tra i tecnici di Trigoria l’uomo che lo completerà e in qualche modo gli indirizzerà la carriera: Mauro Bencivenga prenderà il ragazzino per trasmettergli i concetti del centrale davanti alla difesa - il cosiddetto schermo - e lo tiene fino a quando il sole è calato, con i fari della macchina ad illuminare a malapena il terreno di gioco, a ripetere fino allo sfinimento tagli, posture, giocate, gesti tecnici. Per uno che ha voglia come lui, una manna dal cielo. In questa nuova veste il ragazzo verrà notato da Fabio Capello e dal suo vice Galbiati, che di Bencivenga si fidano molto, e portato in prima squadra. 
Trigoria è casa, è il luogo dove nascono e si cementano nuove amicizie che resteranno per sempre: Simone Paoletti, Cesare Bovo, Totò Setaro, Emanuele Mancini che diventerà inseparabile e che da quando Daniele allena ha sempre fatto parte del suo staff. “Mancio” da calciatore non ha avuto la stessa sorte, gli infortuni lo hanno tormentato fino a farlo smettere, il suo amico non lo ha lasciato mai solo. 


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De Rossi, il sogno diventa realtà

E dunque la Roma, e quei sogni che gonfiavano l’aquilone del mare di Ostia, diventano realtà, la maglia numero 16 che si fa iconica quasi quanto la 10 di Totti ed è a disposizione di chi vuole dimostrare affetto, riconoscenza, ammirazione nei confronti di Daniele: l’hanno messa Paredes in questa seconda avventura romana e Bove nelle giovanili azzurre. Diciotto anni girando l’Italia e l’Europa, 616 partite con 63 gol, le ultime due stagioni con la fascia al braccio, dopo l’addio al calcio di Capitan Totti. Un Mondiale vinto, due Coppe Italia e una Supercoppa. E quella vena, la vena di De Rossi, che è diventata simbolo di un certo romanismo, di un orgoglio tutto giallorosso, che Daniele ha saputo tradurre in gesti, alcuni anche scomodi, e parole, qualche volta taglienti. Tanta passione non poteva scorrere oltre in Italia, dopo quel 26 maggio 2019 che è stato il giorno della sua ultima partita con la Roma contro il Parma. Daniele per chiudere ha scelto il Boca, perché la sua vita è passione e la Bombonera, quando ci vedeva giocare Maradona mentre lui era da poco entrato a Trigoria, rappresentava un altro sogno da provare a realizzare: DDR ha fatto anche questo, per 7 indimenticabili partite. 

De Rossi, l'ultima frontiera

E così... la terza vita. De Rossi ha studiato da allenatore, ha lavorato con Roberto Mancini nello staff azzurro, ha assunto la responsabilità della panchina della Spal tra ottobre del 2022 e febbraio del 2023 per 17 partite. Ha sfiorato la Roma con Pallotta (solo voci), è stato evocato da Mourinho come gradito membro dello staff: niente. E a quarant’anni la Roma è tornata nella sua vita: da cui in realtà non è mai uscita. Come torna il mare: e quello di Ostia scorre nelle sue vene proprio come i colori giallorossi. La panchina con la “P” maiuscola, quella che aspettava come se fosse scritta nelle stelle, è arrivata davvero; quella che papà Alberto un paio di volte aveva rifiutato per non incrociare le strade con il figlio calciatore. Altra scelta di cuore. Vengono in mente le parole pronunciate da DDR come un atto d’amore: «Ho un solo rimpianto, quello di poter donare alla Roma una sola carriera». Quasi se lo sentisse, il destino ha messo Daniele di fronte alla chance del secondo dono: è una sfida tra le onde, da uomini di mare. Come lui. 


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ROMA - Il mare di Ostia si gonfia dei sogni di un bambino biondo che vola come un aquilone sul bagnasciuga dello Sporting Beach, il lido “di famiglia”. Sembra che si faccia bastare l’Ostiamare, dove gioca a pallone, e quando la Roma chiama una volta, a 9 anni, preferisce restare lì, dai Gabbiani, con gli amichetti del cuore. Ma nel suo cuore i colori giallorossi hanno un posto ben preciso e l’appuntamento con Trigoria, Daniele De Rossi, nella sua testa lo ha solo posticipato. A 13 anni arriva un’esperienza estiva nell’Accademia Bruno Conti, mentre papà Alberto è appena sbarcato dalla Tor Tre Teste al vivaio giallorosso come allenatore. Bruno nota la tigna del ragazzino: e certo, se la portava dietro dal primo no. Insiste con il padre per portarlo a Trigoria. E così, nel 1996, Danielino varca il fatidico cancello: è un’aletta, un trequartista, il biondo dei capelli quasi acceca. Nessuno sa che è iniziata una storia d’amore che si srotolerà da lì a Capitan Futuro e oltre. Perché il triplo percorso dal vivaio, alla Serie A, alla panchina di allenatore è cosa rara: ci sono riusciti Claudio Ranieri, Carlo Mazzone, Bruno Conti (quest’ultimo per dieci partite da marzo a giugno del 2005). 


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