Fabio Pecchia: "A Parma per mettere radici"

Specialista in promozioni, predicatore del gioco nel campo degli avversari: "Mi dà gusto battere squadre più esperte"
Giorgio Marota
10 min

Fabio Pecchia non è mica un “farabulàn”, insomma uno che racconta storie. Ai parmigiani, abituati a diffidare dei saccenti dopo aver patito le pene del fallimento, ha parlato di umiltà, appartenenza e serietà. Tre ingredienti semplici che hanno portato alla rivoluzione. «Un tifoso, abbracciandomi durante la festa per il ritorno in Serie A, mi ha detto: “mister, non c’era così tanta gente per le strade neppure quando abbiamo vinto la Coppa Uefa”» ci racconta seduto al tavolino di un bar a pochi passi da Piazza Garibaldi, mentre sorseggia tè alla pesca, circondato dalla discrezione del suo popolo e da sguardi di sincera gratitudine.  

Pecchia, lo sa che qui l’hanno già candidata alle europee?  

«So dove vuole arrivare. Le dico che Bologna è vicina da qui, ma è anche tanto lontana». 

Eppure Parma sogna un percorso in stile Bologna o Atalanta. Meglio guardare alla salvezza? 

«Ed è bello, credetemi, che la gente abbia questo entusiasmo: il Tardini dovrà essere una bolgia. Noi però dobbiamo continuare a fare un passo alla volta. Ci vogliono anni per costruire qualcosa di importante. Ha presente i bambini che iniziano a fare le scale? Ecco, predico prudenza e mi affido alla maturità e alla competenza dei parmigiani». 

Il presidente Krause ha un patrimonio stimato da 3 miliardi, però siete saliti in Serie A con la forza delle idee e dei numeri: primi in Serie B per numero di dribbling, per contrasti nella metà campo avversaria, per tiri dalla distanza, per cross dal fondo e per gol nei primi 15'. Vedremo un Parma così offensivo anche nel massimo campionato? 

«So che la differenza tra A e B è enorme, però il mio modello di calcio sono le sfide contro Inter e Fiorentina in Coppa Italia delle ultime due stagioni. Gioco, possesso del pallone, verticalità, coraggio. Vedrete una squadra che gode nell’attaccare». 

In Serie A il 50% dei proprietari è americano. Il suo com'è? 

«Discreto, ambizioso, appassionato e preparato. Parla poco e delega molto». 

Anche la Lega vi ha celebrato, portando a Parma il suo primo festival. In questo momento vi sentite al centro del mondo? 

«Ci sentiamo forti e in equilibrio. È bello quando chiedono al presidente “ma in quale stadio non vedi l’ora di giocare?“ e lui non risponde l’Olimpico, il Maradona, lo Stadium o San Siro, ma “il nuovo Tardini”. Rende l’idea della programmazione». 

Il nuovo stadio, e poi? 

«Lo sviluppo delle giovanili, il nuovo centro sportivo, i progetti sul territorio. Quante volte ho lavorato in società dove l’importante era sopravvivere... qui c’è una visione chiara, è un bel posto dove mettere radici». 

Avete dimostrato che si può vincere con la squadra più giovane. 

«Prima di ogni partita contavo gli anni degli undici nelle distinte. Mi dava gusto battere avversari che mettevano in campo 30-40 anni di più. Saremo i più giovani anche in Serie A, è una bella sfida».  

Senza esperienza non si rischia di fare la fine del Frosinone? Tanti giovani, tanti complimenti, poi un finale drammatico. 

«Mi sono ritrovato nel percorso del Frosinone e mi è dispiaciuto tanto per la retrocessione. Allenare i ragazzi è un po’ come partire dall’alfabeto e poi aiutarli a scrivere un bel tema. Permettetemi però un distinguo: i giovani del Frosinone non erano tutti di proprietà del Frosinone, quelli del Parma sì».  

Circati, Bernabé, Benedyczak, Mihaila, Bonny, Man. Non ha paura che qualcuno glieli porti via? 

«Che siano appetibili è logico. Mi auguro che non vadano via, la Serie A a Parma sarà un ulteriore step di crescita». 

Si parla di Valeri, Tessman e Pinamonti. Che rinforzi si aspetta? 

«Ragioneremo per caratteristiche più che per ruoli. Ci manca un po’ di fisicità, quindi un colpitore di testa che può giocare centrale o terzino e anche in mezzo al campo qualcosa faremo. La squadra sarà rinforzata con criterio, ma ora è meglio far lavorare la società. Comunque non stravolgeremo la rosa». 

“Tutti dentro” è il suo motto. Che significa? 

«Che tutti devono sentirsi parte del progetto Parma. Squadra, medici, nutrizionisti, area performance e analitica, comunicazione, psicologi, magazzinieri, massaggiatori, tifosi».  

Qual è stato il punto di svolta? 

«L’eliminazione dai playoff contro il Cagliari nel 2023 ci ha lasciato una ferita. Lì però è scattato qualcosa nell'ambiente». 

Chiuda gli occhi, torni con la mente alla festa promozione. Il ricordo più intenso? 

«Gli abbracci in quella camminata di duecento metri a piedi di puro amore. Come in una grande famiglia, come fossi a Lenola, il mio paesino di 4 mila anime in provincia di Latina».  

Verona, Cremona, ora Parma: tre salti in A. Ci ha preso gusto? 

«Il mio è solo un bagaglio come tanti». 

La considerano uno specialista. 

«Verona ha il suo fascino e a Cremona fu tutto fuori dagli schemi. Però non mi ero mai sentito così forte come con questo Parma, primo dall’inizio alla fine». 

Pensavano che prima o poi sareste crollati. 

«Eh... pensavano male». 

Torna in un campionato di presidenti mangia-allenatori.  

«Ormai il nostro è un mestiere precario, dove i progetti si fanno solo a parole. Gasperini è un esempio raro perché otto anni di lavoro in uno stesso posto sono come un’utopia. Però Gasp ha tracciato un solco».  

Le piacerebbe aprire un ciclo del genere a Parma? 

«Certo, ma molto dipende da quali basi riusciremo a porre in A. Facciamo questo gradino, vediamo se restiamo in equilibrio, poi capiremo che storia potremo scrivere».  

A proposito di scrivere: a ottobre l’hanno paparazzata mentre prendeva appunti a una lezione di Ancelotti

«Meno male che ho scritto solo cose belle su quel foglio, altrimenti sai che figura… Carlo è un mito vivente». 

Lei ha lavorato anche con Benitez a Napoli e a Madrid. Cosa ha imparato dai migliori? 

«Che ti parlano di tutto tranne che di moduli. Mettono al centro la persona e poi il calciatore».  

C’è un vademecum da seguire? 

«Sa, da Coverciano escono tutti preparati tatticamente. La differenza la fa l'empatia e chi sa instaurare un rapporto umano con i calciatori e tutte le figure che ruotano attorno a un club. Questo vale nel Real come nel Parma». 

Conte al Napoli che effetto le fa? 

«Un effetto meraviglioso. A Napoli c’è il mio cuore dopo cinque anni da calciatore e due da vice Benitez. Posso solo augurarmi un altro scudetto, anche se qualche punto proverà a portarglielo via il Parma». 


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