
Città del Messico, 19 gennaio 1984. Un giovedì qualunque destinato a entrare nella leggenda. Francesco Moser, il passista trentino, non doveva nemmeno provarci, quel giorno. Doveva essere una prova generale, un test per il vero assalto al record dell’ora di Eddy Merckx, previsto per quattro giorni più tardi, il 23. Ma il destino, a volte, gioca d’anticipo.
Moser, una sfida irresistibile
Sul velodromo olimpico, l’aria dell’altopiano messicano accarezza una bicicletta che sembra venuta dal futuro. Ruote lenticolari, telaio aerodinamico, casco affusolato: un “trabiccolo psichedelico”, come qualcuno lo definì, frutto dell'ingegno di Antonio Dal Monte e di una visione che andava oltre il semplice peso della bicicletta. Perché, su quella macchina avveniristica, il vero motore erano le gambe di Moser, il suo bacino ondeggiante, la sua schiena piegata come da prassi ciclistica. Non era un ragazzino, Moser, ma un uomo di 33 anni, con tre fratelli ciclisti professionisti e una carriera già costellata di successi: un Mondiale, tre Parigi-Roubaix, Giri di Lombardia, Milano-Sanremo. Ma quel record, quel muro dei 49,431 chilometri che Merckx aveva fissato dodici anni prima, rappresentava una sfida irresistibile. Una di quelle imprese capaci di stuzzicare il desiderio di un professionista sempre alla ricerca di nuovi stimoli.
Moser, il ciclismo nel futuro
Così, in quel giovedì inatteso, Moser partì. Non c’era la folla oceanica che lo avrebbe acclamato quattro giorni dopo, ma solo pochi intimi e il cronometro implacabile. Dopo venti chilometri, il vantaggio era tale da convincerlo a non fermarsi. A spingere ancora, a superare i propri limiti, a entrare nella storia. Al sessantesimo minuto, il verdetto: 50,808 chilometri. Il record dell’ora era suo. Un’impresa che non solo cancellava il primato di Merckx, ma che segnava una svolta epocale nel ciclismo, aprendo le porte all'era dell’aerodinamica e della tecnologia. Quattro giorni dopo, davanti a una folla in delirio, Moser si superò ulteriormente, portando il record a 51,151 chilometri. Un’annata memorabile, culminata con la vittoria al Giro d’Italia. Anche se l’UCI, anni dopo, avrebbe “derubricato” l'impresa a “miglior prestazione umana sull'ora”, l’emozione di quel gennaio 1984 rimane intatta. Moser non aveva solo battuto un record, aveva proiettato il ciclismo nel futuro.