Benvenuti, un mito eterno
C'è una notte che non si spegne. Un pugno che vale una nazione. Un sorriso, quello di Nino Benvenuti, che il 17 aprile del 1967 accende di orgoglio l’Italia intera. Il ragazzo istriano, emigrato a Trieste dopo l’esodo forzato della sua terra, diventa campione del mondo dei pesi medi battendo a New York l’americano Emile Griffith, al Madison Square Garden.
New York
Un capolavoro sportivo, un’impresa d’altri tempi, costruita con tecnica, strategia e una forza interiore che ancora oggi fa vibrare il cuore di chi l’ha vissuta. Griffith era il campione. Temibile, esperto, potente. Aveva dalla sua parte il titolo e il favore del pubblico. Ma Benvenuti aveva con sé qualcosa di più: aveva l’eleganza dell’uomo che non arretra, il coraggio del pugile che sa colpire e resistere, la determinazione di chi si è fatto da solo. Quindici riprese leggendarie, una sfida epica che si trasforma in mito. Il verdetto arriva ai punti, unanime: Benvenuti nuovo campione del mondo. A 29 anni, dopo l’oro olimpico a Roma ’60 e dopo essersi costruito un record impressionante da professionista, Nino tocca il cielo con i guantoni. Ma non è solo una vittoria personale, è un evento nazionale. È l’Italia che si affaccia sul palcoscenico del pugilato mondiale e si fa rispettare. È la bellezza del gesto atletico che incontra la nobiltà dell’anima.
Rivalità
Dicono che abbia vinto anche grazie a un gancio sinistro preciso come una pennellata e a quel montante di destro che Griffith non si aspettava. Ma c’era molto di più. C’era la compostezza, la grazia, la disciplina. E un’umanità che conquistava chiunque lo ascoltasse parlare, anche fuori dal ring. Il trionfo fu il primo atto di una trilogia meravigliosa: Griffith avrebbe vinto il match di rivincita qualche mese dopo, ma Benvenuti si sarebbe ripreso il titolo nel terzo incontro, ancora a New York. Un duello sportivo di rara bellezza, fatto di colpi e rispetto, tra due uomini che finirono per diventare amici. Oggi, a distanza di 57 anni, quell’impresa vive ancora. È leggenda. È memoria collettiva. È il racconto che un padre fa a suo figlio davanti a una vecchia foto in bianco e nero. È Nino, con la cintura in vita e il sorriso timido, che ci ricorda quanto possa essere meraviglioso lo sport, quando diventa poesia.
