Nata a Reus il 19 luglio del 1997, Ariana Sanchez, conosciuta da tutti come “Ari” è l’attuale n.1 del ranking femminile insieme alla sua inseparabile e fortissima compagna Paula Josemaria, con cui si è appena aggiudicata l’ennesima tappa di Premier Padel in Argentina, la terza da inizio stagione. Già vincitrice di due coppe del mondo con la Spagna e n.1 in classifica anche alla fine della passata stagione, la spagnola, che anche quest’anno ha confermato la sua partnership con Head, vanta una percentuale di vittorie pari all’85%. Conosciamola meglio.
Che aspettative avete per questa stagione?
«Ogni stagione è per noi una nuova sfida. Ci sono tanti tornei e coppie sempre più forti e dopo il primo posto dello scorso anno, puntiamo a confermarci anche per il 2024».
Quali sono le chiavi del successo di una coppia?
«Conoscersi a vicenda, comprendere le esigenze di ognuna di noi e fare squadra. Credo che questi elementi siano alla base dei nostri risultati».
Se potesse rubare un colpo alla sua compagna?
«Lo smash di Paula è invidiato da tutto il circuito».
Vede qualche nazione oltre a Spagna e Argentina?
«In Italia stanno lavorando molto bene a livello agonistico e così in Portogallo. Sono i due paesi leader nello sport femminile dopo Spagna e Argentina. Non dobbiamo sorprenderci se presto vedremo tra i top 20 anche altri giocatori provenienti da paesi del Nord Europa, Medio Oriente e Sud America».
Le piace il tennis e cosa ne pensa del pickleball?
«Amo il tennis, è lo sport che seguo di più dopo il padel. Per quanto riguarda il pickleball non l'ho mai praticato, ma è positivo che ci sia comunque sempre più spazio anche per altri sport di racchetta».
Come vede il padel tra 10 anni?
«Bella domanda. Il padel dovrebbe prendere esempio dal tennis e crearsi un proprio percorso come sta accadendo. Siamo nel momento ideale per fare quel salto definitivo, affinchè tra qualche anno diventi uno sport di massa e soprattutto inarrestabile perché crea decisamente dipendenza».
Ha qualche rituale in campo prima o durante la partita?
«Scegliere il colore dei vestiti uguali alla compagna, il sorteggio del campo...ed alcuni altri. In verità, più che rituali, li considero protocolli che mi aiutano a entrare in partita».
A chi dedica le sue vittorie?
«Alla mia famiglia, alla squadra e a tutte le persone che mi incitano. Tutti sono stati importanti nella mia vita, ed a volte un grido dagli spalti, soprattutto in un momento della partita delicato, ti aiuta a risollevare una situazione avversa o semplicemente ti dà più fiducia per chiudere la partita».
Si trova bene con i social network?
«Sì, anche se non sono una persona che dipende troppo da loro dedicandogli poco tempo. Sappiamo che sono importanti e ci sono professionisti che li curano per noi, anche se di norma preferisco sempre interagire direttamente con le persone che mi seguono e che mi mandano messaggi carini, che apprezzo sempre molto».