Eterna Tania Di Mario: “Il mio 13° scudetto è un gesto d’amore”

Di Mario: «Ho ripreso ad allenarmi per aiutare le ragazze. Io, che potrei essere la loro mamma!»
Eterna Tania Di Mario: “Il mio 13° scudetto è un gesto d’amore”
Giorgio Burreddu
6 min

Caro Giovanni, oggi hai quattro anni, ma un giorno rivedrai quello che ha combinato tua mamma. Eroica, mitica, incredibile. Ad abbassare i toni ci pensa lei, Tania Di Mario, campionessa di tutto che ha battuto pure l’età. «Mio figlio non mi aveva mai visto giocare. Questa cosa non mi dava pace. L’ho fatto più per lui». Così, a 44 anni, Tania è (ri)scesa in vasca e ha vinto lo scudetto con l’Orizzonte Catania. «È stato molto divertente, io la definisco una vacanza pallanotistica dalla vita normale. Fortuna che è finita bene».  

 È il suo tredicesimo scudetto, vero? 
«Sì, e la cosa assurda è che non piacciono i numeri pari, e non c’è un motivo. Non volevo finire con il 12. Il 13 in questa storia è tornato spesso. è andata bene». 
 
Come l’ha presa suo figlio? 
«Si è impressionato, ha visto quando mi hanno preso il braccio per alzarmelo. “Ma chi è quella che ti stava facendo male?”. Me lo ha chiesto per giorni. In tutto questo, Giovanni ha fatto la differenza. E poi Catania. La mia ultima partita l’avevo giocata a Rapallo, finale scudetto persa contro Padova: non poteva finire così. E’ sembrato di rivivere i bei tempi di tanti anni fa». 

Se l’è vissuta bene?
«Sì, non come quando hai vent'anni. Avrei potuto fare una brutta figura. Poi mi sono detta: “Questo è un gesto d’amore”. Avevamo avuto un po’ di problemi d’organizzazione, tante ragazze erano state via con le nazionali, erano tornate “sfracellate”. Ho pensato: “Se c’è bisogno di qualche minuto per farle rifiatare, perché no?”. Avevo ricominciato ad allenarmi. Ma solo per la prova costume (ride ndr). Poi ho ritrovato i gesti».

L’età cosa le ha tolto?
«Forse nulla. Non ho nemmeno avvertito la distanza con le ragazze di vent’anni. Potevo essere la loro mamma. Mi dicevano: "Tania, tanto non si vede...". Sì, come no!»

Cosa ci vuole per essere un’atleta superati i quaranta?
«Se sei mamma... una baby-sitter. Io però non ho fatto l’atleta. E’ stato impegnativo, ho continuato a lavorare nel centro sportivo come responsabile amministrativa. Quindi: il lavoro, l’allenamento, il ruolo di presidente, il bambino, la casa. Non è stato facile. Mi hanno aiutato molto le mie ex compagne».

Vi sentite ancora voi azzurre di Atene 2004? 
«Certo. Abbiamo un gruppo WhatsApp. “Siamo noi il 7Rosa”. Mi hanno scritto: “Ahò, allora possiamo torna' anche noi”, “C’è speranza”. Scherziamo». 
 
Lei ha vinto tutto. C’è una sconfitta che le ha insegnato a vincere? 
«Contro la Russia, la sfida che nel 2000 ci impedì di andare alle Olimpiadi. Una delusione enorme. Molte delle mie compagne erano grandi, qualcuna smise. Quattro anni dopo ci siamo prese l’oro. E ce lo siamo dette: se fossimo andate a Sydney forse non avremmo vinto». 


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