Edoardo Giordan: "I miei amori? La sciabola e la Roma"

Il campione paralimpico delle Fiamme Oro prepara Parigi. E tifa giallorosso: "Adoravo Mexes. Mourinho è immenso"
Edoardo Giordan: "I miei amori? La sciabola e la Roma"
Fabio M. Splendore
4 min

A vent’anni una diagnosi sbagliata può letteralmente stravolgerti la vita. È quanto capitato ad Edoardo Giordan dieci anni fa, portandolo ad infilarsi nel tunnel dell’irrimediabile amputazione della gamba destra. Basta nuoto, basta calcio. Per vedere la luce serviva la forza di volontà che il ragazzo romano ha saputo trovare dentro sé stesso: riscrivendo la sua storia sempre dentro lo sport, nella scherma. E facendolo da protagonista assoluto, con i colori delle Fiamme Oro addosso - il gruppo sportivo della Polizia di Stato - e il maestro Marco Ciari, che è anche ct della sciabola paralimpica. Tra i Giochi di Tokyo e quelli di Parigi all’orizzonte. In mezzo titoli italiani, ori in Coppa del Mondo, il bronzo al Mondiale di Terni. Giordan nel cuore ha la sciabola e la Roma.

Due amori, giusto definirli così?

«Assolutamente sì. Tiro anche di spada, ma la sciabola è quella che mi rappresenta meglio caratterialmente. E la Roma mi scorre nel sangue. Ricordo la partita della scintilla come fossi oggi: la Supercoppa del 2001, con papà e mamma allo stadio, 3-0 per noi, Candela, Montella e Totti. Mi sono innamorato lì».

Allora proviamo a snocciolare la formazione del cuore...

«Mica facile, provo. Alisson, Cafu, Samuel, Aldair, Candela, a metà campo Bruno Conti, De Rossi e Nainggolan, un altro dei miei idoli. In attacco Totti, Batistuta e Cassano. Un po’ offensiva... Vedete, già ho dovuto far fuori il mio idolo per affinità nel ruolo, Mexes».

Mexes? E come è nata?

«Anche io con Torrimpietra, Maccarese e Aranova, ero difensore centrale: il suo modo di giocare mi faceva impazzire».

C’è un podio degli allenatori vissuti da tifoso?

«Mourinho sul gradino più alto: due finali europee non le avevo mai viste. Spalletti ha fatto giocare la Roma in modo spettacolare e uno dei trionfi indelebili è quello al Santiago Bernabeu nel 2008. Terzo Capello per lo scudetto del 2001 che però ricordo poco. Ero piccolo, in mente ho solo la festa che durò un anno anche a casa mia».

E un giorno comparve Totti...

«Mamma mia. Roma-Chelsea di Champions 3-0, ottobre 2017. Andai allo stadio con Bebe (Vio, ndc), lei ha salutato Francesco e me lo ha presentato: non sapevo che dire, il capitano è il capitano, ha rifiutato gloria e soldi per la Roma. Lui è sopra tutti».

Conference e Europa League. Due finali vissute come?

«La Conference a casa di amici e poi al Circo Massimo nella bolgia. A Budapest non ho resistito, sono andato in macchina: bello e terribile, per come è finita».

Resta rabbia per quella diagnosi sbagliata?

«La risposta vera? No. Sono felice. Ero uno po’ scapestrato. La scherma e le Fiamme Oro mi hanno dato una dimensione in cui mi sento realizzato. Ora preparo un’altra sfida personale: devo battere Gilliver, l’unico che resta da superare: è inglese, ce lo stiamo studiando. Ci riuscirò».

Il simbolo di questa Roma?

«Lukaku: come la tocca fa gol».


© RIPRODUZIONE RISERVATA