
« A un certo punto Roberto mi ha preso il braccio, era seduto a capotavola, io alla sua sinistra, hai presente il tavolo nella sala di casa sua ad Altavilla? Mi ha guardato negli occhi e ha detto: “Decidi per te stessa, il resto sono solo grandi seghe”». Un filosofo.
E poi perché ricorda proprio Baggio. Sembrano fatti della stessa pasta. «Gli infortuni mi hanno reso più forte, ma mi hanno anche indebolito», avrebbe potuto dirlo - e l’ha detto - Robi. Così come «non posso dire di essere una persona sana, provo dolore ogni giorno: è qualcosa con cui convivo. So di avere una buona forma fisica, ma so anche di essere fragile. C’è una frase che dice che sei più forte quando conosci le tue debolezze. È giusto essere esigenti, ma senza esagerare».
Sofia è sempre diretta e ha una notevole proprietà di linguaggio, è capace di sorprenderti con parole come queste: «Ci sono momenti in cui devi concentrarti sul chi sei piuttosto che sul cosa fai. Diciamo che adesso sono più contenta anche sul piano personale. Più risolta».
Prima non lo eri?
«Ho sempre pensato che gli infortuni di un atleta derivino da conflitti emotivi che albergano nell’atleta stesso. L’inforcata è una questione di tre centimetri, o di qua o di là, nella decisione di un istante entra la psicosomatica. Non metterti a ridere, ma io ho sempre provato un profondo senso di inadeguatezza».
Non ho riso. E adesso?
«L’ultimo infortunio mi ha fatto toccare il fondo. Per un mese e mezzo ho osservato la vita dal divano di casa, la vita era fuori dalla finestra. Mi sono posta un sacco di domande, una tortura. Poi ho invertito il paradigma, scoprendo la grazia di questo incidente e trasformandolo in un’opportunità. Il ricordo di quei sei mesi è vivo dentro di me. Ma ho fatto mie le parole di Califano, ne “la mia libertà”, parafrasandole».
Risultato?
«Se sono triste scio piano, se sono in forma scio forte così affronto la mia sorte».
Azz, dimenticavo.
«Cosa?».
Non ti ho ancora chiesto che belva ti senti. Sai, la Fagnani...
«Un puma, il leone della montagna, che se ne sta in disparte e poi piazza la zampata».
Tu sai stare in disparte?
«Direi di sì».
Quando ti incontrai la prima volta mi stavi antipatica.
«Pensavi fossi stronza? Stiamo parlando dell’anno in cui passai da zero a tredici podi. Ero irrequieta, non riuscivo a gestire quell’improvviso successo. Sballottata da una parte all’altra del mondo. Oggi invece nella mediaticità ci sguazzo, questa dimensione mi piace, so stare sotto i riflettori. Al punto che se Fiorello rifacesse Viva Rai2! mi offrirei come spalla.... Mi sento una donna indipendente che ha creato qualcosa per se stessa. Lavoro con gli uomini e non mi sento inferiore a nessun uomo. Ovviamente siamo diversi, con un sesso diverso e qualità diverse. Io appartengo all’unico sistema meritocratico presente in Italia: lo sport. In Italia si lavora più per conoscenze che per competenze».
Oggi sapresti vivere senza lo sci?
«Lo sci è la mia dimensione, ho una vita totalizzante. Ma sono figlia di una professoressa di italiano e latino e di un ingegnere civile, l’imprinting sportivo non era contemplabile. Ho scelto lo sci, se avessi trovato un maestro altrettanto convincente e persuasivo nel tennis avrei giocato a tennis».
Il maestro di tennis di Sinner era certamente migliore di quello di sci.
«Lui è pazzesco. Va una volta a sciare e tiene le ginocchia parallele, un dettaglio tecnico col quale io lavoro col mio allenatore: sotto le sue ci passa un treno, sotto le mie no, visto che le ho a ics».
«Vorrei arrivare ai Mondiali di Crans Montana 2027. Se le ginocchia reggono e anche la testa. Non penso di diventare mamma prima di quattro anni almeno. Fa strano perché sono in quella fase in cui tutti si sposano e fanno figli, io invece ho ancora gli sci ai piedi. So che la mia sfida ha un tempo determinato e voglio provare a vincere il più possibile. Se mi sento in difetto? So solo che ho 32 anni e l’orologio scorre». È tutta roba tua.
«Non ho più limitazioni, scadenze. Quei Mondiali li voglio fare, ma potrei andare anche molto più in là. E prima c’è Milano-Cortina».
Racconta il buio.
«Ripenso a quando il piede è uscito dallo scarpone, m’ero accorta subito di aver rotto tutto e non sapevo come dirlo allo staff. I primi giorni l’attenzione del mondo, poi sola su un divano. Cerchi un appiglio. Per questo andai a trovare Baggio. Avevo letto il libro, visto il film, storie simili. Sono del ’92, ho vissuto nell’eco della sua leggenda. Mi succede a volte...».
Cosa?
«La mattina mi sveglio e mi chiedo cosa avrei potuto fare senza le operazioni, e se la caviglia avesse una mobilità diversa, naturale, se il ginocchio fosse ancora intatto, se il profilo della tibia... ma lasciamo stare. Mi sento graziata».
Graziata e atalantina.
«Ho visto la partita col Barcellona, quel fuorigioco di millimetri... Noi bergamaschi siamo gente orgogliosa e l’Atalanta è un vanto della città. Cerco di non perdermela mai. Quand’ero in America ho fatto colazione con Cagliari-Atalanta, ma non ricordo il risultato. Zero a zero?». Uno a zero per voi e ringrazia Carnesecchi.