Francesco è stato il Papa della verità

Cosa resta della lezione di Bergoglio: ci si salva solo se si fa squadra
Cristiano Gatti
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Adesso che il suo tempo è giunto a destinazione, inevitabilmente il vuoto appare subito più grande di un vuoto qualunque. Morto un Papa se ne fa un altro, ma non sarà facile rifarne uno così. Un Papa che ha cambiato senza l asciarsi cambiare mai. Il Papa che ha voluto chiamarsi Francesco, non in onore del Pupone come piacque scherzare nella festa dell’elezione ai mattacchioni di borgata, ma ispirandosi al Francesco più evangelico della storia, cioè il Papa della semplicità, dell’umiltà, soprattutto della Verità. Un Papa che come il suo santo di Assisi amava il creato e amava giocare con le bellezze del creato.
Un Papa che guarda caso veniva dalla strada, che respirava l’aria e la vita degli ultimi. Un Papa che proprio per queste sue radici umane, senza problemi riconosceva una naturale inclinazione sportiva, benchè tutto sommato sia meglio definirla una sua mistica dello sport. E qui, sul Corriere dello Sport, questa idea non può che risuonare oggi come una specie di enciclica del settore, buona per illuminare tipo cometa di Natale il percorso così spesso sghangherato e insensato di tante discipline.
Già dal 1936, quando nasce a Buenos Aires da emigranti piemontesi, Jorge Mario si ritrova fisicamente e idealmente immerso nel brodo primordiale del calcio argentino. «Da piccolo mi piaceva il calcio, però ho giocato anche a basket, lo sport di mio papà. Io ero una “pata dura”, mi mettevano sempre in porta». Ricorda quando giocava in strada con una “pelota de trapo”, la palla di stracci. Era niente ed era tutto. E dopo, crescendo, quando andava con suo padre allo stadio per tifare il San Lorenzo.
Poi prete, ma sempre tifoso: quante volte racconta nelle udienze pubbliche i suoi ricordi di Bartali, il mito cui si affianca negli anni quello del talento assoluto, Diego Maradona.
Il talento, il talento. Ricorda, popolo, ricordate, giovani: «Il talento è niente senza applicazione - spiega convinto una volta -: si può nascere talentuosi, ma non ci si può addormentare sopra il talento. La storia, non solo quella sportiva, racconta di tanta gente di talento che si è poi persa strada facendo. La stessa parabola dei talenti ci viene in aiuto: il servo che al ritorno del padrone restituisce solo il talento ricevuto, avendolo nascosto per paura sotto terra, viene considerato malvagio, non perché ha rubato, ma proprio perché non ha messo a frutto ciò che aveva ricevuto in dono. Nello sport non basta avere talento per vincere: occorre custodirlo, plasmarlo, allenarlo, viverlo come l’occasione per inseguire e manifestare il meglio di noi».
Gli piace sempre un sacco fare il Bar Sport delle idee e degli ideali. Gesù è il mister esigente, più esigente di Sacchi e Gasperini messi assieme, un vero martello dell’anima: «La parabola di Matteo ci insegna che Gesù è un allenatore esigente: se sotterri il talento, non fai più parte della sua squadra».
Un Papa a sua volta mister, che ama dettare la tattica di vita senza schemi macchinosi e cervellotici, il gioco della vita dev’essere semplice ed essenziale, ma mai passivo, chiuso in difesa di piccoli vantaggi, facendo passare il tempo in qualche modo, piuttosto un gioco sempre arioso, aperto, proiettato in avanti, un gioco in cui tutti sono uguali e ugualmente utili, e al diavolo – perché proprio li considera satanici – sotterfugi e furbate, giochi sporchi e messinscene.
Nel suo schema, troppe volte tacciato di populismo sempliciotto, brilla prezioso il valore dell’essenziale, del vero, del sincero. Ciascuno a modo suo, tutti dalla stessa parte, senza lasciare fuori nessuno: «Fare squadra è fondamentale nello sport, ma anche nella vita di tutti i giorni. Sì: nessuno si salva da solo».
Francesco, uno di noi. Il Papa sportivo. Il Papa della gente comune. Il Papa che va dall’ottico sottocasa. Il Papa che si porta la borsa da solo, prima di finire sulla sedia a rotelle. Il Papa infermo che gira il mondo come un globe-trotter dell’handicap. Il Papa castigamatti degli intrighi curiali. Il Papa mansueto e radicale. Il Papa buono senza mai essere buonista. Il Papa che sbatte fuori dal tempio pedofili e affaristi. Il Papa che non le manda a dire all’Occidente cinico e palancaio. Il Papa che bacchetta preti e suore in carriera. Il Papa che fustiga il chiacchiericcio e le pettegole di parrocchia. Il Papa che tutte le domeniche, instancabilmente, chiede la pace a potenti voltati dall’altra parte...
Improvvisamente, in quest’atmosfera di crepuscolo universale, quanti Papi lasciano tutti assieme il posto vuoto. Tutti i Papi di nome Francesco.

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