Datome: "Milano-Virtus è un duopolio che serve a tutti"

Appena ritiratosi dal basket giocato, l’ex capitano azzurro studierà da dirigente alla scuola dell’Armani. Intanto dice la sua sulla Serie A
Andrea Barocci
6 min

ROMA - Telefonata a Gigi Da tome. "Gigi, dica la verità: si è appena seduto su una panchina dei giardinetti di Milano e sta lanciando mais ai piccioni". "In effetti l’ho appena fatto", risponde lui con la solita ironia e prontezza di riflessi. Riesce difficile accettare l’idea che un grande giocatore e una straordinaria persona come l’ex capitano della Nazionale sia diventato da poche settimane un “pensionato” 35enne. Datome ha lasciato il basket da MVP della finale scudetto, quella vinta dalla sua Milano contro la Virtus. Si è concesso un romantico ultimo ballo in azzurro ai Mondiali,  poi ha detto basta. Il futuro è adesso per “Il Messia”. Si dedicherà alla famiglia, alla moglie Chiara Pastore e alla piccola Gaia, staccando a modo suo da un mondo che lo ha visto sempre protagonista: a Roma, al Fenerbahce e a Milano, con una parentesi di due anni nella NBA. Ma rimarrà all’Olimpia in una nuova veste: non sarà nello staff tecnico, lavorerà più dietro le quinte della società. Studiando e imparando con la stessa umiltà che lo ha reso un campione speciale. Impossibile non chiedere la sua opinione sulla stagione che sta per cominciare.

L'intervista a Datome

Datome, cosa si aspetta quest’anno dal basket italiano?

"Qualche squadra sicuramente partirà davanti alle altre. Ma, essendo a disposizione di tutti vari obiettivi, come i playoff e la salvezza, ci saranno diversi livelli di interesse e di competizione".

C’è chi sostiene che il duopolio Milano-Virtus Bologna sia dannoso. Lei cosa ne pensa?

"Io rispondo: proviamo a pensare alla nostra pallacanestro senza Milano e Bologna: sarebbe un campionato migliore? Secondo me le formazioni di alto livello nobilitano i campionati. Provate a togliere l’Olympiacos e il Panathinakos al basket greco, il Partizan e la Stella Rossa a quello serbo; o il Barcellona e il Real Madrid alla Spagna: diverrebbero tutti altri campionati. Inoltre, visto che per competere con Milano e Bologna la sfida deve essere per forza grande, ritengo che anche le altre società siano spinte a puntare verso l’alto. Basta vedere cosa hanno fatto Tortona, o Sassari che è sempre competitiva, e Venezia. Insomma, alla fine Armani e Segafredo per forza di cose alzano il livello dei club".

Cosa le piace e cosa no della serie A?

"Mi piacciono molto le sue piazze storiche. Per me il PalaVerde di Treviso, ricordando la Benetton, ha un significato speciale. Lo stesso vale per Pesaro e Bologna. Hanno un fascino particolare, specie per chi come me ha vissuto i loro periodi d’oro. Non mi piace invece un certo tipo di mentalità che vige nel nostro ambiente. Le dichiarazioni che si fanno prima della domenica sono tutte un po’ banali: sempre grande rispetto per l’avversario, sempre il timore di affrontare qualsiasi squadra... Io capisco che se uno dice ciò che pensa veramente, magari gli si potrebbe ritorcere contro. Non dico di fare come Ataman (il vulcanico coach turco, da quest’estate al Panathinakos, ndr) che ogni volta afferma 'vinciamo tutto', però una via di mezzo ci dovrà pur esistere".

La “guerra” tra FIBA ed Eurolega ha fatto registrare un significativo passo avanti verso la pacificazione: quando giocheranno le nazionali, l’Eurolega si fermerà. Finalmente, non crede?

"Io sono sempre stato un acerrimo nemico della 'finestre' imposte dalla FIBA per gare delle nazionali. Ci sono voluti cinque anni per fare questo passo nei rapporti".

Brescia e Virtus hanno scelto per il ruolo di centro classico due veterani: Bilan, 34 anni, e Dunston, addirittura 37. Che segnale è per il campionato?

"Da tempo c’è la tendenza di avere dei lunghi dinamici capaci di tirare da fuori. Eppure avere un pivot puro, penso soprattutto a Bilan, che sia pericoloso sotto canestro e faccia chiudere le difese creando gioco in post basso, regala un’altra dimensione al basket. Per me i centri di qualità possono fare ancora la differenza, anche se in questa pallacanestro stanno scomparendo".

Quest’anno quale potrebbe essere la squadra rivelazione, la nuova Tortona?

"Vorrei vedere qualche partita prima di sbilanciarmi. Dico solo che Tortona è stata una sorpresa il primo anno, ora è una bella realtà".

In molti si aspettavano che, lasciato il basket giocato, avrebbe intrapreso la carriera di allenatore. Invece no. Perché?

"Non mi vedo portato per quel ruolo. Forse perché, venendo da tanti anni di gioco, ora sento il desiderio di stare di più dietro le quinte, per staccare un po’ dal campo. In questo momento vorrei imparare come funziona una macchina societaria di alto livello come l’Olimpia. E per farlo bene non posso lavorare nello staff tecnico".

Dicono che qualche entità misteriosa la starebbe spingendo verso un ruolo dirigenziale in Nazionale. È vero?

"Ma come, sono già retrocesso da candidato alla presidenza della Fip a candidato dirigente? (dice ridendo, ndr). Comunque mi rendo conto che il mio nome sia facilmente spendibile in tanti ruoli. Per adesso non c’è nulla: voglio imparare all’Olimpia e basta".

Quindi... sarà mai possibile vederla in giacca e cravatta come erede di Gianni Petrucci?

"Ho indossato giacca e cravatta per due giorni di fila ultimamente, battendo ogni record. E per me stava cominciando ad essere pesante...".


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