Intervista a Dino Meneghin: "Pochi pivot? 'Colpa' del volley..."

I centri italiani di valore capaci di fare la differenza in area sono sempre più rari: un mito del nostro sport ci spiega i motivi
Fabrizio Fabbri
6 min

Chi meglio di Dino Meneghin può entrare nei meandri della serie A per trovare la strada nel dedalo dei pivot italiani? Lui che è stato superbo interprete del ruolo, quando in patria arrivavano ancora stelle che avevano brillato nella NBA ed in Europa si battagliava con Tkacenko, Sabonis e Cosic, prova a dare una lettura alla crisi di lunghi nostrani. 

Meneghin, mancano da noi centri dominanti. In campionato sta facendo faville con Pesaro Totè, un comprimario fino a ieri e oggi sotto la luce dei riflettori. Perché? 
«Non ho ancora visto di persona giocare Leonardo in questa stagione. Posso dire però, valutandole, che ha messo insieme delle cifre ragguardevoli che ne confermano la crescita. È chiaro come il suo allenatore Buscaglia gli abbia dato fiducia; evidentemente ha fatto scattare la molla in un ragazzo che in passato aveva già mostrato qualcosa di importante. Lui stesso dice di trovarsi benissimo nel sistema di Pesaro. Appena possibile lo voglio vedere da vicino. Spero continui così, sarebbe importante per il campionato e per la Nazionale».  
 
Già, la Nazionale. Il ct Pozzecco ha deciso di andare ai Mondiali senza un vero centro di ruolo. Concorda con la scelta? 
«Stimo il Poz, è un ottimo allenatore. Però in una competizione come quella di questa estate un centro come Tessitori lo avrei messo in rosa. Le competizioni come Mondiali ed Europei sono particolari, ti propongono avversarie con strutture di diverse. Gianmarco deve aver fatto le sue valutazioni e ha messo sulle spalle di Melli e degli altri lunghi il peso delle battaglie vicino a canestro. Magari con Tessitori avremmo avuto un'arma in più». 

Le facciamo la solita domanda: perché in Italia nascono sempre meno pivot di valore? 
«È colpa delle mamme! A parte gli scherzi, diciamo che rispetto ad altre nazioni esprimiamo meno ragazzi di altezza e mezzi tecnici notevoli rispetto al passato. Un motivo è che, di fronte a numeri limitati, la pallavolo rispetto ai miei tempi ci porta via alcuni fisici che altrimenti sarebbero stati indirizzati al basket. Quando ero giovane, chi come me aveva altezza e muscoli giocava a pallacanestro. Oggi il volley porta dalla sua tanti prospetti. È il caso di chiedersi perché e trovare rimedi». 
 
I pivot che arrivano oggi dai settori giovanili sono a corto dei fondamentali che a voi inculcavano con ore ed ore di insegnamento? 
«Sì. Vedere dei movimenti sotto canestro di un certo tipo è sempre più raro. Ma è anche cambiata la pallacanestro. La mia generazione, e anche quella di Chiacig, Marconato ed altri, non aveva a che fare con la linea dei tre punti. Questa ha cambiato il modo di giocare. Ne avrà guadagnato lo spettacolo, però ne ha perso la tecnica dei pivot. Così come il passaggio dai 30” secondi di possesso in attacco ai 24" ha stravolto la tattica. Oggi per far arrivare un centro dalla zona di difesa all'attacco il tempo è più breve. Così per molti fermarsi dietro la linea dei 3 punti, senza andare in area a fare a gomitate, magari con il rischio di fasi male, è più facile». 
 
Si gioca troppo “pick and roll” oggi? 
"Certamente, a scapito della palla passata in post basso per attaccare in “uno contro uno”. Sono situazioni figlie dei tempi». 

Cosa consiglia ai lunghi nostrani? 
"Di sgomitare, lavorare duro in palestra e non rassegnarsi. Certo, la concorrenza è tanta rispetto agli anni in cui noi avevamo solo due stranieri, e di grandissima qualità, in squadra. Non sono molti quelli che oggi hanno spazio. Serve anche un ricambio da dietro, anche se mi pare che nei settori giovanili sia complicato, a parte casi isolati, avere ore e mezzi per costruire i pivot di domani».
 
Può nascere in Italia un nuovo Meneghin? 
«Io sono il passato, della tribù di pivot che giocavano in un basket diversa. La domanda è: può nascere in Italia uno Jokic di Denver? È un centro pazzesco. Si muove come un ballerino nonostante la stazza. Prende rimbalzi, tira da 3 e passa la palla come un playmaker. Un giocatore come lui cambierebbe tutte le prospettive. Però, quanto tempo ha passato in palestra per diventare Mvp della NBA?».


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