Scommesse, Peano: "Il modello francese può fare danni"

L'intervento dell’avvocato sulla proposta del ministro Abodi: "La prevenzione al match-fixing da noi esiste già e funziona bene"
Scommesse, Peano: "Il modello francese può fare danni"© LaPresse
Valérie Peano
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Nel dibattito di questi giorni che coinvolge il mondo dello sport, e in particolare quello del calcio, relativo alla proposta del ministro Abodi di adottare il "diritto alla scommessa" sul modello francese, è necessario, ad avviso di chi scrive, fare qualche precisazione. Oltralpe questo istituto – che non ha fatto scuola in Europa – nasce nel 2010 dall’esigenza di ripagare alle organizzazioni e società sportive le spese sostenute per la prevenzione e il contrasto al fenomeno del match fixing, ovvero l’accordo criminoso finalizzato a manipolare il risultato sportivo, individuando a carico degli operatori di gioco gli obblighi informativi in materia.

A parte le già note perplessità sulla legittimità di tale modello, mai avallato dal legislatore europeo, non è attraverso l’introduzione del "diritto alla scommessa" che le organizzazioni o società sportive andrebbero a prevenire la manipolazione degli eventi sportivi. Perché in Italia il sistema di prevenzione e controllo per il rilevamento di partite truccate già esiste: ogni operatore di gioco, su rete fisica o online, che opera attraverso concessione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, riveste un ruolo fondamentale nella prevenzione e nel contrasto alla manipolazione dei risultati sportivi, assolvendo l’onere di gestire una significativa mole di dati per lo Stato.

Il ruolo delle aziende del betting è centrale: in primis, con la valutazione del rischio presente su ogni evento e manifestazione sui quali si intende proporre ed accettare scommesse. Per ciascuno di questi eventi, l’operatore effettua poi un attento monitoraggio in tempo reale dell’andamento delle scommesse, segnalando alle competenti autorità qualsiasi anomalia potenzialmente riconducibile ad una manipolazione del risultato sportivo.

Quindi se è vero che i campionati mondiali di calcio Qatar 2022 ci hanno messo di fronte al problema, ricordandoci che non bisogna mai abbassare la guardia perché l’incapacità di contrastare efficacemente la corruzione nello sport danneggia non solo l’integrità dello sport, ma anche la sua credibilità e il valore sociale, è altrettanto vero che l’Italia è stata pioniera nel prevedere un impianto a livello normativo, per prevenire e contrastare efficacemente il fenomeno del match-fixing sin dal 1989 con l’introduzione del reato di frode in relazione alla manipolazione dei risultati di manifestazioni sportive. Successivamente, a livello regolamentare, è stata introdotta l’obbligatoria segnalazione dell’operatore di scommesse che viene analizzata dapprima dall’Unità Informativa Scommesse Sportive (rappresentanti delle Forze di polizia, dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, e dei Ministeri per la sovranità agroalimentare e per lo sport nonché del Coni e della Figc), e poi dal Gruppo Investigativo Scommesse Sportive, istituiti presso il Ministero dell’Interno. Un meccanismo virtuoso che vede una sinergia positiva tra partner pubblici e privati con un obiettivo comune: il contrasto del match fixing.

L’inadeguatezza del modello francese non finisce qui. In Francia, il diritto alla scommessa si applica soltanto agli eventi organizzati sul territorio nazionale. L’adozione nel nostro Paese di questo modello introdurrebbe una pericolosa forma di "dazio al contrario" con l’ultra-tassazione delle sole scommesse su competizioni italiane: a differenza del modello francese in cui il palinsesto degli eventi sportivi sui cui scommettere è stabilito dalle autorità e non dagli operatori di gioco, l’applicazione del "diritto alla scommessa" renderebbe più conveniente l’offerta di scommesse sulle manifestazioni sportive estere. Per non parlare del fatto che si tratterebbe sempre e comunque di una tassa sul gioco a carico soltanto di giocatori e utenti.

Cosa ancor più grave sotto il profilo della tutela dell’integrità sportiva, andrebbe a discapito degli sport minori dove la raccolta delle scommesse è minore mentre il rischio di combine è molto più elevato. Se l’adozione del modello di Oltralpe non appare la soluzione adatta all’esigenza rappresentata di reperire maggiori risorse per lo sport italiano, si valutino altre ipotesi da percorrere, anche riavviando percorsi consultivi con tutti gli attori coinvolti, recuperando un dialogo istituzionale fondamentale nell’attuazione di scelte ponderate.


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