Le star del tifo

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Le star del tifo© ANSA
Cristiano Gatti
6 min

Mentre il Paese piccolo borghese ancora si attarda a vedere partite e a chiedersi se stavolta il Napoli riuscirà a tenere, cose così, da banalotti, gli uomini veri festeggiano l’impresa epica: bloccare la più importante autostrada italiana e sentirne parlare per giorni e giorni, praticamente a costo zero. Dopo tutto, è sempre una questione di prospettiva: per il conformismo piatto della gente comune il calcio è gioco e sport, con tanto di “indignazione unanime” davanti allo spettacolo delle mazzate e dei lacrimogeni in mezzo all’Autosole, ma per loro, i tatuati templari del tifo bellico, quella domenica tetra altro non è che la migliore delle domeniche possibili. La domenica perfetta, la loro Italia-Germania 4-3.

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Quando mai può capitare in una nazione mediamente evoluta di bloccare la circolazione da sud a nord e da nord a sud per regolare due conti con il nemico di un’altra curva. L’importanza e il peso specifico del gesto atletico non stanno tanto nella guerriglia in sé, ma nell’effetto moltiplicatore a livello grancassa, che di fatto trasforma un affare di delinquenza spudorata e strafottente nel vero fatto del giorno. Cosa può sognare di più un militante di quello sgangherato esercito, cosa può immaginare di meglio il loro capo strategico, che deve continuamente alzare l’asticella della provocazione e della cattiveria. Fare a botte, randellarsi a sangue, pungersi possibilmente senza ammazzarsi, e poi tornare nelle tane per godersi lo spettacolo a reti unificate della gente comune impaurita e preoccupata, dei commentatori indignati e integerrimi, dei politici che vestono la maschera pirandelliana con tutto il lessico di maniera, è indegno di un paese civile, servono provvedimenti seri, la questione va risolta una volta per tutte, non è più tollerabile...  
Certo, sì, come no. E loro piegati in due dal ridere. E loro che alzano i calici per brindare al clamoroso successo. L’ultimo della serie, certo il penultimo, perché già è ora di pensare al prossimo.  

Non ci sono più bandiere, striscioni, magliette nella nuova guerra autostradale. Sono tutti vestiti di nero, sono tutti coperti di passamontagna, hanno tutti il loro corredino da combattimento, questi che tante anime belle ancora si ostinano a chiamare tifosi. Patetici noi a pensare che i nostri dibattiti, le nostre accigliate censure, le nostre drastiche condanne in qualche modo li tocchino. Come ruminanti del caos, questi soldatini della domenica si nutrono delle nostre chiacchiere inutili. È il segno del loro trionfo e della loro affermazione. Come i poveracci del Grande Fratello, si sentono un po’ Vip. Più intervistiamo sociologi e questurini, meno loro si spaventano e anzi più si gonfiano. È la nostra reazione a dare un senso al loro nulla.

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Se davvero la reazione della sedicente società civile, chiamiamola pure Italia normale, fosse autorevole e attendibile, se servisse a intimorire e a impensierire questi centurioni de noantri, negli anni avremmo almeno notato qualche segnale di cambiamento. Invece. L’11 novembre del 2007, nell’autogrill di Badia al Pino, incredibile battaglia con un ragazzo che resta a terra ammazzato, il povero Gabriele Sandri. Quindici anni dopo, stessa spiaggia stesso mare, ma tu guarda la combinazione, di nuovo guerra mondiale nello stesso punto, neanche ci fossimo convocati tutti lì per un simpatico anniversario. Non è cambiato niente. Forse è cambiata solo la generazione che va in autostrada a umiliare impunemente l’Italia, magari a qualche padre un po’ imbolsito è subentrato un adeguato figlio con energie più fresche, ma la mentalità malata, il disegno perverso, la filosofia deforme, tutto è ancora allo stesso punto di prima. 

L’impressione - la certezza - è che vinca sempre l’idea accidiosa del tifo da blandire, da comprendere, da tollerare, tra vuoto paternalismo e miserabile opportunismo, perché tanto da qualche parte questi ragazzi andrebbero comunque a sfogarsi, meglio lì che in centro, davanti alle vetrine dello shopping dorato. Peccato che non abbia più alcun senso cavarcela col so’ ragazzi, gli ultrà sono cresciuti e si sono fatti uomini: uomini contro, uomini fuori, uomini pericolosi. Uomini boss. 

E allora avanti così: loro, che sono molto più scaltri di quanto pensiamo, fiutano l’aria e abilmente ci sguazzano. Una volta nell’antistadio, un’altra volta in autostrada, magari la prossima in aeroporto e in stazione. Purché se ne parli. Così la sera si fa una bella adunata nel covo per brindare all’impresa, gustando i Tg che parlano di noi più della guerra in Ucraina e del Papa morto. Il massimo una maratona di Mentana e un plastico di Vespa. Se poi qualcuno, con calma, senza fretta, riesce anche a sapere cos’hanno fatto il Napoli e la Roma, l’Inter e la Juve, è perfetto.  


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