Ezio Glerean, calcio da Oscar: «Io, Sorrentino e l’uomo in più»

Parla un allenatore ultra offensivo e sognatore che dopo un 4-4 a Salerno Zeman definì: “Uno più matto di me“
Ezio Glerean, calcio da Oscar: «Io, Sorrentino e l’uomo in più»
Antonio Giordano
10 min

Si può nascere Ezio Glerean, attraversare la propria vita da mediano - elegante, possente, testa alta e palla al piede - e poi ritrovarsi dentro a un film, mica uno qualunque, senza essere né attore, né regista, ma quasi come un invisibile sceneggiatore. Cittadella (1996-2002) è il crocevia di un tempo perduto e fatato, la sintesi estrema di un miracolo all’italiana e però anche la musa che alimenta un Genio senza eguali che dentro un campo di calcio e in una delle più abbaglianti scelte rivoluzionarie moderne infila la macchina da presa e concede l’emozione. Ezio Glerean è un sognatore anche oggi, a 67 anni, con il quale si può stare a chiacchierare per ore senza alcuno schema dinanzi a sé, ma cercando un orizzonte calmo in cui calarsi, magari scoprendo che per arrivare sin lì «È stata la mano di Dio»

Lo sa Glerean che Paolo Sorrentino l’ha «creato» lei? 

«No, no, no...Ma è matto?! Non dica questo, non lo scriva». 

E però forse, senza «L’uomo in più», sa quanti capolavori ci saremmo persi? 

«Ma che c’entro io, il merito è solo del Maestro, ci mancherebbe. Io posso ringraziarlo, con fierezza, per essersi ispirato al mio Cittadella». 

L’ha guidato, spiritualmente, verso la statuina. 

«Andiamo, la smetta. Facciamo i seri». 

Proviamoci. Ha avuto modo di vedere Sorrentino, di conoscerlo? 

«E di ringraziarlo, più e più volte. Anche recentemente, in una serata su Dazn, costruita da Pardo. Ero in collegamento esterno, abbiamo avuto modo di sorridere, chiacchierare di calcio, del suo Napoli, di questo mondo». 

Hanno tutti ragione, per citare Sorrentino...? 

«Il film l’ho visto e rivisto, il libro l’ho letto e riletto. Siamo dinanzi ad un gigante, non c’è nulla di suo che mi sia sfuggito». 

E fuori dal campo, da chi è rimasto fulmimato? 

«Cruijff, per cominciare: i due mesi ad Amsterdam, per studiarlo, mi folgorarono. Ero andato in Olanda, a casa dei genitori di mia moglie, utilizzai un po’ di settimane per scoprire il suo calcio. Un fenomeno. In una squadra che era piena - tanto per dire - di Van Basten, di Bergkamp, di Rijkaard, splendevano soprattutto le sue idee. Poi, per restare sui contemporanei, Guardiola e Zeman, gli amanti della bellezza. Quelli che ti inchiodano al divano o alla seggiola della tribuna e ti spingono a pregare: fa che questa partita non finisca mai». 

Cittadella-Salernitana, serie B 2001-2002, finisce 4-4. Lei era sulla panchina del Cittadella, il boemo sull’altra. 

«Poteva anche chiudersi sull’8-8. Si scatenò un dibattito anche stucchevole: di qua quelli che sottolineavano gli errori della fase difensiva; di là chi si stropicciava gli occhi per essersi divertito come poche altre volte. Noi non stavamo nel mezzo, ovviamente: la gente uscì paga dallo stadio». 

Frase di Zeman, all’indomani: «Ho incontrato uno più matto di me...». 

«A Zdenek andava consegnata una cattedra a vita a Coverciano e noi tutti in fila a lezione. Un mostro di bravura e anche di simpatia. Quando ci vediamo, ormai capita sempre più raramente, lo ascolto incantato». 

Intanto, lei, Ezio Glerean, andò oltre: 3-3-4 o 3-3-1-3. 

«Avevo così tanti attaccanti bravi al Bassano che non potevo lasciarli fuori. E poi proseguii con il Cittadella. Dimostrammo che le favole esistono o altrimenti si possono scrivere». 

Poi arrivò Zamparini e... 

«Bah, persona appassionata, partecipe. Una settimana prima che mi esonerasse da Palermo, giocammo alla Favorita contro il Chievo di Delneri: vincemmo 3-1 in uno stadio pieno e sognante». 

E poi la cacciò, alla prima sconfitta, alla terza giornata. 

«Purtroppo, si lasciò condizionare da chi gli stava intorno. E in quel momento Foschi, il diesse, aveva deciso che io forse potevo essere di intralcio alla sua politica, in contrapposizione netta con la mia». 

Lei era andato con Zamparini per allenare il Venezia... 

«Ma due giorni prima che partissimo per il ritiro lui acquistò il Palermo. Se non sbaglio, stava trattando pure per prendere il Genoa, aveva comunque deciso di lasciare la Laguna, voleva altro, era stato contestato, vennero i tifosi in sede a dirglielo che non lo volevano. E lui li accontentò, prese la squadra e se ne andò. Il ritiro dei veneti era fissato a Pergine, mi sembra, dove però andò Belotto. Io venni dirottato a Longarone, trovai nove giocatori rosanero e ogni giorno qualcuno che stava con il Venezia arrivava da noi. Pure quella fu un’esperienza, ma Zamparini era un buono». 

Le rimasero i soldi, con i quali lei ha un rapporto blando. E infatti, dopo un po’, ha lasciato il calcio. 

«Sei, sette anni a casa, senza voglia di far niente, deluso dai metodi, dalle scelte, dall’assenza di meritocrazia. Vedevo panchine assegnate a chi era stato appena esonerato ripetutamente, dinamiche che mi amareggiavano».  

E’ tornato nella sua terra: prima Marostica, poi Bassano. 

«Con i miei principi, che assorbono anche l’organizzazione del settore giovanile. A volte, forse spesso, è da lì che bisogna cominciare, per portar via l’erbaccia e seminare qualcosa di buono».  

Un giorno, durante una partita, fece filmare i genitori in tribuna. 

«Andammo a cena, accendemmo il proiettore, pensavano stessimo per vedere la partitina dei loro ragazzi e invece mostrammo come si comportavano loro. Una madre, pentita, disse: io non voglio essere quella che appaio, che urla e sbraita. Io non sono così, perché sono diventata questa?». 

Ha scritto un libro, Glerean: “Il calcio e l’isola che non c’è”. 

«In quelle pagine c’è la mia utopia: educare i bambini, aiutare i papà e le mamme. Non voglio ergermi a insegnante, mi permetto solo di dare un indirizzo, sperando sia quello giusto: i ragazzi vanno accompagnati; per cento di loro che cominciano a dodici anni, ce ne sono settanta che a quindici lasciano. E parecchi di questi sono talenti. Chiediamoci perché abbandonano, forse per mancanza di divertimento». 

Magari di altro... 

«Appunto. Nei campionati Pulcini ed Esordienti sono state abolite le classifiche e allora ce le siamo fatte noi. Perché un fanciullo deve conoscere il valore della vittoria e soprattutto quello della sconfitta, che introduce alla vita».

E le formazioni non le fanno i tecnici... 

«Le decidono i capitani delle due squadre, in base a ciò che vedono, così in tribuna i genitori stanno buoni, non devono domare il loro malumore perché il figlio è in panchina. Non l’ha deciso un allenatore-cattivo, ma hanno fatto tutto i ragazzi». 

Ha ispirato Sorrentino e si è lasciato tentare da Bennato, in lei si nasconde un napoletano. 

«Sono stato al Sud: alla Cavese, nell’80, vincemmo il campionato e andammo in B. Poi, due stagioni a Taranto. Ho anche allenato nel Meridione e pazienza se non sia andata come avrei voluto. Quest’anno, poi, Spalletti ci ha riconciliato con il calcio, la sua squadra non ha solo ha vinto lo scudetto, e sarebbe bastato persino quello, ma ha trasmesso allegria. Spegnevi il televisore ed eri appagato, dopo una partita del Napoli. Poi riparte il campionato e ti accorgi che Luciano non è in panchina. Gliene dico una: ho fatto il Supercorso con lui, era già avanti, diverso». 

Ha scelto ancora di starsene a casa. 

«Tradito da un amico, introdotto da me nel Bassano e poi deciso a dare un’impronta in contrasto con la mia visione. Pazienza». 

Glerean, la prossima volta che incontrerà Paolo Sorrentino cosa gli dirà? 

«A quando, Maestro, il tuo nuovo capolavoro? L’uomo in più è lui». 


© RIPRODUZIONE RISERVATA