Tutti gli uomini dell'allenatore

Leggi il commento sulla figura del collaboratore tecnico, diventata ormai indispensabile
Tutti gli uomini dell'allenatore© Juventus FC via Getty Images
Roberto Beccantini
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Roba da ridere, la moltiplicazione dei pani e dei pesci. La citano gli evangelisti e, dunque, tutti in ginocchio. Ma nello sport c’è qualcuno che l’ha presa un po’ troppo alla lettera. Restiamo al calcio; restiamo, in particolare, alle recenti pistolettate fra Roberto Mancini e Gabriele Gravina. L’aggancio è un pretesto per andare subito al sodo. Gli allenatori. Ormai, una squadra nella squadra. Uno stato nello stato. Voce dal loggione: sveglia, vecchio rincoglionito; non siamo più all’età della pietra, che Helenio Herrera, complice la rivalità rusticana con Nereo Rocco, seppe modellare sino a farne la vetrina di un mestiere riverito e lucroso. Le rose si sono gonfiate a dismisura, la sentenza Bosman ha liberato il mercato, oggi bisogna sapere le lingue, dare i numeri è diventato una risorsa e non più un delirio, gli organigramma rimbombano di cariche e incarichi senza i quali non è più possibile, non dico vivere, ma semplicemente pensare. Il culto del fisico imperversa. Si narra che il futuro sarà ancora più personalizzato, un tutore e un preparatore a testa, in base alle dimensioni dell’organico e alle esigenze dei singoli. Negli anni Settanta, Romolo Bizzotto, ombra fedele del Trap juventino, si occupava anche dei portieri, prima che la società inserisse un istruttore ad hoc. Ogni volta che si parla di «tattico», Eugenio Fascetti, l’anarchico che a Varese fondò il «casino organizzato», s’inalbera. E dal momento che non lo hanno mai ricoverato, qualche ragione doveva, e deve, averla. «Tattico» non dovrebbe essere lo stesso mister? D’accordo, diamogli pure una spalla. Una, però, massimo due: non un esercito. E lo scouting? E gli osservatori? Wao. Li chiamavamo spie. Mitica la figura di Natale Bianchedi, il baffo morboso e curioso di Arrigo Sacchi.

Da Guardiola ad Allegri: il numero dei collaboratori tecnici

Quando si muove un pastore, si muove un gregge. Per sentirsi meno soli, probabilmente; per evitare pugnalate alle spalle, forse. Dall’archivio di Alec Cordolcini, olandesista sommo, affiora lo staff di Rinus Michels all’Europeo del 1988, vinto in carrozza: la «miseria» di due aiutanti. Nol de Ruiter e Bert van Lingen. Ho detto Michels, l’eretico che, con l’Ajax di Johan Cruijff, aveva ribaltato il calcio. Sembra quasi che uno voglia tagliare posti di lavoro. Per carità. La Camelot di Pep Guardiola, al Manchester City, arriva a quindici unità, fra allenatori, vice, analisti assortiti, eccetera (fonte Transfermarkt). Nella Juventus, tanto per allargare il dibattito, Massimiliano Allegri dispone di quattro collaboratori tecnici, che salgono a cinque con Marco Landucci, il vicario bilioso e solitario. Ma Francesco Magnanelli, ex Sassuolo, ha già contagiato addirittura Federico Chiesa. Per tacere dei comparti sanitari, ufficiali e ufficiosi. Gli «stregoni» sono sempre esistiti, fin dalle processioni interiste dal mago Wanono, a Parigi, sollecitate da un altro mago, «Accaccone» in carne e slogan. Rimane la famiglia, reale o virtuale, che il «nomade» porta con sé. E che, di fronte a una lite condominiale, salta per aria.


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