Adriano Bacconi, il pioniere della match analysis

«Negli staff tecnici delle squadre professionistiche servono nuove figure con competenze specifiche»
Adriano Bacconi, il pioniere della match analysis
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Giorgio Coluccia

MILANO - Per Adriano Bacconi i meriti personali vengono dopo. Tiene a sottolineare soprattutto i progressi sulla match analysis compiuti fin qui dalla nostra Serie A e la costante interazione con gli allenatori che può spalancare nuove porte. «Questo è il nuovo che avanza» ribadisce il Ceo di Math & Sport nonché consulente di Infront, già allenatore, preparatore atletico e match analyst nello staff di Lippi con l’Italia iridata nel 2006.

Bacconi, grazie ai dati quali sfide deve ancora vincere il nostro calcio?
«Una l’ha già vinta ed è quella che, grazie alla visione e alla fiducia della Lega Serie A, sono stati introdotti strumenti che rendono avanzato il calcio italiano nella lettura e nell’analisi dei dati. Adesso dobbiamo vincere la sfida culturale, ossia inserire dentro gli staff tecnici delle figure con competenze specifiche nell'analisi dei numeri, perseguendo l’evoluzione del gioco. E non è finita…»

Cosa manca?
«Bisogna customizzare il tipo di informazione, creando degli indicatori di performance specifici per lo stile di gioco di quella squadra, per le strategie di gara di quell’allenatore specifico. In modo da fornire non dati generalizzati, bensì mirati e pronti all’uso».

Quanti punti può portare una match analysis fatta nel modo corretto?
«Anzitutto permette di prendere le migliori decisioni. Alza il livello di conoscenza nel momento in cui bisogna scegliere e sarà sempre più decisiva in funzione delle capacità d’uso degli allenatori. Può darti dei punti, ma può anche farteli perdere se i dati non vengono usati nel modo corretto. Le macchine mettono tutte la stessa benzina, ma non vanno alla stessa velocità. Per il dato è la stessa cosa, dipende da quanto è appropriato rispetto al bisogno».

Rispetto alle altre realtà europee come siamo messi?
«Sul tempo reale nessuno riesce a fare quello che facciamo noi a livello di analisi. Durante l’Academy abbiamo avuto il professore Daniel Memmert, un luminare della match analysis e tante realtà sono indietro rispetto a quanto si fa da noi per rendere fruibile l’informazione arrivata dai numeri. Parlo di Premier e Bundesliga, i riferimenti in materia».

Su quale fronte dobbiamo recuperare?
«In Italia ci sono ancora poche squadre che hanno un dipartimento di data analyst a supporto di tutti gli altri, cioè si lavora a compartimenti stagni tra scouting, settore giovanile, e prima squadra. Non c’è un'integrazione tecnologica e di risorse. In Premier invece questo mix c’è da anni, gli staff tecnici che arrivano trovano già un ampio database e persone dedicate».

Cosa ha lasciato la prima edizione dell’Academy?
«L’entusiasmo per aver scoperto il lato invisibile del calcio, ma anche la preoccupazione di doversi rimettere in discussione. Capita sempre quando sei fuori dalla zona di comfort».


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